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Opinioni

Perché dobbiamo obbligare i padri a occuparsi dei figli, se vogliamo davvero la parità sul lavoro

Negli Stati Uniti fa discutere la scelta del segretario ai trasporti Pete Buttgieg di usufruire del congedo di paternità, ma qui da noi è ancora un tabù pensare che un padre si debba occupare dei figli, permettendo alle donne di investire sulla loro carriera. Il risultato è che la maternità diventa il primo ostacolo alla realizzazione professionale delle donne. Ecco perché serve il congedo di paternità obbligatorio.
A cura di Maria Cafagna
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Pete Buttigieg è il Segretario dei trasporti degli Stati Uniti, il nostro corrispondente del Ministro delle Infrastrutture. Buttigieg ha ottenuto grande visibilità partecipando alle scorse primarie democratiche in cui si sarebbe scelto lo sfidante di Trump, incarico che poi è spettato  a Joe Biden, che gli hanno dato l’occasione di farsi conoscere e raccontare al grande pubblico la sua storia, quella di un veterano omosessuale felicemente sposato e innamorato. Da qualche mese Pete Buttigieg e suo marito Chasten hanno adottato due gemelli e da allora entrambi hanno scelto di usufruire del congedo di paternità attirando così le critiche dei giornali conservatori. Tucker Carlson di Fox News, gruppo vicino a Donald Trump, ha tuonato pochi giorni fa: ”lo chiamano congedo di paternità ma forse stanno cercando di capire come si allatta”. Alle critiche rivolte a Buttigieg ha risposto la portavoce della Casa Bianca Jen Psaki assicurando che il Segretario dei trasporti sta lavorando da casa e alla giornalista che la incalzava ha detto: “Se la domanda è se i genitori, mamme e papà, debbano ricorrere al congedo parentale la risposta è: assolutamente sì”. Psaki ha ribadito che è intenzione dell’amministrazione Biden quella di spingere affinché sempre più donne e uomini ricorrano al congedo di genitorialità e ha sottolineato come siano entrambi i genitori a dover trascorrere del tempo con i neonati indipendentemente se sono uomini o donne o se sono all’interno di una relazione omosessuale o eterosessuale: “per prendersi il tempo necessario per creare un legame con il proprio figlio”.

È chiaro che in questo caso il congedo parentale è usato come un pretesto per attaccare Buttigieg e la sua famiglia, ma il pensiero espresso dai suoi detrattori non è tanto diverso da quello che pensa la maggior parte delle persone. Il tema del congedo di paternità è arrivato anche da noi ma al di là dei proclami la legge di bilancio prevede un periodo retribuito di soli dieci giorni per cui siamo ancora molto lontani dall’equiparazione del congedo di paternità e quello di maternità. Eppure crescere un neonato o una neonata è un compito molto complesso e se è vero che il legame con la madre nei primi tempi è fisiologico, per il bambino è importante creare un legame con il padre che, a sua volta, dovrebbe sostenere la madre e occuparsi dei lavori domestici mentre lei si prende cura del neonato.

Ad oggi questo scenario sembra un miraggio, come dimostra una recente ricerca condotta dall’Oxfam: “in Italia, al 2018, l11,1% delle donne, per prendersi cura dei figli, non ha mai avuto un impiego. Un dato fortemente superiore alla media europea del 3,7%, mentre quasi 1 madre su 2 tra i 18 e i 64 anni (il 38,3%) con figli under 15 è stata costretta a modificare aspetti professionali per conciliare lavoro e famiglia. Una quota superiore di oltre 3 volte a quella degli uomini”. Il periodo appena trascorso è stato particolarmente drammatico per l’occupazione femminile come riportano i dati Istat che fotografano un paese in cui a perdere il lavoro sono soprattutto donne e giovani, cioè le stesse persone che dovrebbero mettere al mondo dei figli. E infatti l’Italia sta vivendo una terribile crisi demografica che rischia di farci diventare un Paese sempre più vecchio e impoverito; inoltre tenendo conto che alle donne spetta anche la cura delle persone anziane oltre a quella dei più piccoli, è facile indovinare chi pagherà le conseguenze più drammatiche di questa situazione.

In questo quadro a tinte fosche però, molte persone sembrano preoccupate più dalla possibilità di iniziare a parlare di genitorialità che del rischio che sempre meno persone scelgano di diventare genitori. Nel suo celebre discorso a Piazza San Giovanni, Giorgia Meloni tuonava contro chi voleva usare il termine genitori al posto di mamma e papà sui documenti ufficiali – notizia poi ampiamente smentita – e di voler cancellare la nostra identità, ed è per questo lei rivendicava il diritto di essere Giorgia, madre e cristiana. A farle eco è stato anche Michele Serra che nella rubrica quotidiana su Repubblica ha scritto che le donne: “dopo aver patito qualche millennio di prepotenza maschile oggi non vorrebbero dover subire, come beffardo colpo di coda, i danni inferti al loro genere dalla neutralizzazione forzata del linguaggio”.

La stessa prepotenza maschile che ha condannato le donne all’impossibilità di scegliere di avere una carriera per millenni, oggi impone a molte donne di dover scegliere tra lavoro e maternità. Ma qualsiasi scelta comporta uno stigma: se si sceglie di diventare mamma e di non lavorare si verrà criticate perché non abbastanza al passo coi tempi, chi sceglie invece di dedicarsi al lavoro verrà bollata come donna degenere, mentre chi tenterà tra mille difficoltà di conciliare le due cose si sentirà criticata perché sottrae tempo al lavoro per dedicarsi alla famiglia o perché dedica troppo tempo al lavoro a scapito di figli e marito. Questi discorsi ovviamente non valgono per la maggior parte degli uomini che vengono glorificati come eroi della patria se cambiano i pannolini o se portano i figli a scuola. Per questo parlare di genitorialità è importante perché solo partendo dall’equa divisione dei compiti all’interno della famiglia si può arrivare alla parità: è qui che si annidano le diseguaglianze ed è solo attraverso il buon esempio che i genitori possono impartire ai figli che nasceranno generazioni di persone più disposte ad aiutarsi reciprocamente per amore dei figli, dell’altro e di sé stessi.

Insomma ne guadagneremmo tutti, donne e uomini, figli e genitori, madri e padri. Eppure c’è chi non vuole capire o far finta di non farlo, vuoi per capitalizzare la rabbia popolare, vuoi per rivendicare il proprio sacrosanto diritto ad essere un genitore sdraiato.

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Maria Cafagna è nata in Argentina ed è cresciuta in Puglia. È stata redattrice per il Grande Fratello, FuoriRoma di Concita De Gregorio, Che ci faccio qui di Domenico Iannacone ed è stata analista di TvTalk su Rai Tre. Collabora con diverse testate, ha una newsletter in cui si occupa di tematiche di genere, lavora come consulente politica e autrice televisiva. -- Maria Cafagna   Skype maria_cafagna
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