Perché Amanda Knox non andrà in carcere nonostante la condanna a tre anni per calunnia a Lumumba
È stata condannata a tre anni di reclusione dalla Corte d'Assise d'Appello di Firenze Amanda Knox, oggi a Firenze per rispondere dell'accusa di calunnia nei confronti di Patrick Lumumba. L'uomo, allora datore di lavoro della 36enne, venne coinvolto ingiustamente nella vicenda giudiziaria per l'omicidio di Meredith Kercher, avvenuto a Perugia la sera del 1º novembre 2007.
Knox, che non andrà in carcere anche se la sentenza venisse confermata in Cassazione, fece il nome di Lumumba più volte in un memoriale scritto pochi giorni dopo il delitto, il 6 novembre 2007, e l'uomo venne arrestato. Rimase in carcere per 14 giorni. Successivamente fu però scagionato perché non vennero mai trovate sue tracce nella casa del delitto e un testimone confermò che la sera dell'omicidio stava lavorando nel suo pub, dove Amanda faceva la cameriera.
Perché Knox non andrà in carcere dopo la condanna
Come già detto, anche se il verdetto dovesse diventare definitivo, dopo un eventuale prossimo passaggio in Cassazione (i suoi legali hanno annunciato l'intenzione di presentare ricorso), Knox non andrà comunque in carcere perché ha scontato in passato la pena prevista.
Infatti, nell'ambito dell'omicidio della 22enne inglese, la donna venne sottoposta a carcerazione preventiva per quasi quattro anni, prima di essere assolta in appello nel 2011 (sentenza confermata anche dalla Cassazione quattro anni dopo), insieme a Raffaele Sollecito per il delitto Kercher. Per l’omicidio della studentessa inglese l’unico condannato a 16 anni in concorso e con rito abbreviato è stato Rudy Guede.
La precedente condanna annullata e il nuovo processo
Knox, condannata per calunnia una prima volta nel gennaio 2014, si era rivolta alla Corte europea dei diritti dell'uomo che aveva riconosciuto la violazione delle garanzie difensive negli interrogatori della notte del fermo successivo all'omicidio. La 36enne ha sempre sostenuto, anche durante l'udienza del 5 giugno, di aver fatto il nome di Lumumba perché intimidita dagli agenti di polizia che la interrogarono allora.
Per questo motivo la Cassazione, su richiesta della difesa, aveva applicato il nuovo articolo 628 bis del codice di procedura penale, annullando la sentenza precedentemente emessa e rimettendo gli atti nelle mani del giudice per valutare se il memoriale scritto la mattina del 6 novembre sulla base di quanto testimoniato da Knox potesse configurare il reato di calunnia.
"Ero una ragazza di 20 anni spaventata, ingannata, maltrattata dalla polizia che mi ha interrogata per ore in una lingua che non conoscevo. Si rifiutavano di credermi, mi davano della bugiarda, ma io ero solo terrorizzata. Non capivo perché mi trattassero in questo modo, minacciandomi di farmi avere una condanna a 30 anni se non ricordavo ogni dettaglio. Un poliziotto mi ha dato uno scappellotto in testa dicendomi: ‘Ricorda'", ha detto in aula il 5 giugno Knox, chiedendo alla Corte di concederle l'assoluzione.
Anche secondo i difensori di Knox, la donna sarebbe stata "una vittima" della "violazione dei suoi diritti di difesa" e del "processo mediatico". Ma nell'udienza del 10 aprile scorso il procuratore generale Ettore Squillace Greco aveva chiesto la conferma della condanna a tre anni perché Knox sarebbe stata "consapevole di fare agli inquirenti il nome di una persona che non c’entrava nulla con l’omicidio".