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Guerra in Ucraina

“Per Putin sovranismo e guerra funzionano, ma non durerà”: l’analisi dell’economista Enikolopov

L’accademico russo commenta a Fanpage.it le parole del leader del Cremlino: “Le politiche fondate sulla spesa militare sono insostenibili, anche con l’aumento delle tasse“. E la governatrice della banca centrale Nabiullina “è l’unica con gli attributi per criticarle”. Mentre lo zar, sempre più solo in quella che fu la sua Davos, celebra l’attuale crescita dell’economia. Alla faccia delle sanzioni occidentali.
A cura di Riccardo Amati
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Solo pochi anni fa, Vladimir Putin divideva il palco del Forum economico internazionale di San Pietroburgo (Spief) con Angela Merkel, Emmanuel Macron, Xi Jinping, Narendra Modi, Shinzo Abe  e i maggiori imprenditori e finanzieri del mondo. A questo giro, si è dovuto accontentare dei leader della Bolivia e dello Zimbabwe. E del ministro degli Esteri ungherese. C’erano anche i talebani da poco diventati padroni di Kabul.

Oltre a confronti su temi che hanno poco a che fare con l’economia e parecchio con l’ideologia del regime, come i “valori familiari”, un panel è stato dedicato ai Brics. Ma pochi e non proprio di alto rango sono i rappresentanti di Paesi Brics arrivati nella città natale di Putin, un tempo capitale dell’impero zarista. Lui ci contava. Ambisce a guidare i Brics contro l’egemonia americana. Ma non è mica facile trovare partner davvero disposti a trascurare il fatto che la Russia ha invaso l’Ucraina.

Tanti, invece, i rampolli della élite al potere. A partire dalle figlie del presidente, Maria Vorontsova and Katerina Tikhonova, impegnate in un panel. Così come la figlia del neo-segretario del Consiglio di sicurezza Sergei Shoigu, Ksenia. Come anche il figlio del capo di gabinetto di Putin Anton Vaino, Alexander. E via dicendo. Una specie di ballo delle debuttanti per quelli che, nei progetti del regime, dovranno esserne la continuazione. Entrano in scena i principi del Cremlino.

Putin ha fatto appello ai Paesi dell’Africa, del Sud America e dell’Asia per una lotta contro il “neo-imperialismo” statunitense. Ha evitato di parlare della guerra in Ucraina. Ma ha elogiato il settore industriale-militare dell’economia russa che rifornisce “i soldati e i veterani dell’operazione militare speciale”. E contribuisce a una crescita economica superiore ad ogni previsione.

A dimostrazione che l’economia russa in questa versione bellica funziona alla grande il presidente ha sottolineato che il 40 per cento del fatturato commerciale del Paese è ormai in rubli. Gli scambi denominati in dollari o euro si sono dimezzati. Un inno al sovranismo economico-finanziario. Che ha trovato un unico contraddittorio nelle parole della governatrice della Banca di Russia: “La nostra economia non può fare a meno di integrarsi nell’economia globale”, ha detto Elvira Nebiullina.

Di tutto questo abbiamo parlato con Ruben Enikolopov, che ha più volte partecipato allo Spief come rettore della Nuova scuola economica di Mosca. Oggi insegna anche all’Università Pompeu Fabra di Barcellona.

Professor Enikolopov, come è cambiato il Forum di San Pietroburgo?

Il livello dei rappresentanti stranieri non è nemmeno lontanamente paragonabile a quello di solo qualche anno fa. E rende l’idea di un effettivo isolamento della Russia. Anche per quanto riguarda il Sud globale, il rango dei partecipanti non è alto. E i Paesi rappresentati non sono poi molti. C’è la novità della partecipazione dei talebani: la delegazione è formata dai pezzi grossi del governo di Kabul. Ma credo proprio che ciò non sia dirimente. Il fatto è che la dimensione internazionale del Forum sta esaurendosi. Sta trasformandosi in un evento interno.

La presenza di Paesi di quella parte del mondo di cui Vladimir Putin aspira a essere il leader non lo rende un evento internazionalmente importante?

Ormai prevale la dimensione interna. Il Forum economico di San Pietroburgo è diventato soprattutto un luogo in cui le élite della Russia di Putin possono riunirsi, parlare e ricevere segnali dal governo.

La discussione tra i leader dell’economia, della politica e del mondo dei think tank russi in passato ha dato frutti interessanti. Si sono confrontate visioni diverse sullo sviluppo del Paese. Anche se non ci si opponeva direttamente al regime, si volava alto. C’era qualità. Si aprivano dibattiti. Ora non è così?

No, perché ci si attiene al manuale. Non si va oltre a quello che è ufficialmente considerato opportuno. Mi aspettavo qualcosa di non banale da personaggi come Oreshkin (Maxim, consigliere economico del presidente, appena promosso a vice capo di gabinetto, ndr) o Reshetnikov (Maxim, ministro dello Sviluppo economico, ndr). Gente in grado di influenzare le politiche, anche se poi sono altri al Cremlino a decidere. Ma nemmeno da loro sono arrivate indicazioni interessanti. L’anno scorso criticarono il progetto di aumentare le tasse. Uno spunto per discutere. Oggi, niente di tutto questo. Oreshkin e Reshetnikov si sono del tutto conformati (entrambi hanno elogiato il prossimo aumento delle tasse e sottolineato il ruolo delle forze armate per la crescita economica, ndr).

Ruben Enikolopov
Ruben Enikolopov

Però non è vero che non c’è dibattito: la governatrice della Banca di Russia Elvira Nabiullina è andata controcorrente. L’aumento delle tasse può scoraggiare gli investimenti, ha avvertito.

A Mosca circola da tempo una battuta: “Ai vertici delle maggiori istituzioni della Federazione Russa c’è una sola persona che ha gli attributi. Ed è una donna”.

Nabiullina, suppongo. La governatrice ha anche spiegato che, nonostante le sanzioni, “la Russia deve integrarsi nell’economia globale”. Accanto a lei c’era ll ministro delle finanze Anton Siluanov. Che, impassibile, ha ripetuto il mantra di Putin secondo cui Mosca deve “accelerare nello sviluppo della sua sovranità economica”. Mica la stessa cosa.

Nabiullina è l’unica voce in disaccordo con la direzione in cui si sta muovendo l’economia. Non ce ne sono altre.

La governatrice è ritenuta intoccabile perché, peraltro utilizzando tecniche tipiche dell’economia liberale, ha combattuto le sanzioni finanziarie salvando il Paese dalla bancarotta.

Bisogna vedere fino a che punto resterà intoccabile. Di sicuro a buona parte della élite non piace. Qualcuno potrebbe un giorno alzare la voce.

Tornando all’aumento delle tasse, è un rischio per Putin? Una delle sue migliori mosse fu l’istituzione di una flat tax, nel 2001. Preziosa per far uscire l’economia russa dal caos degli anni ’90. Al momento la flax tax è al 15 per cento. Qualcosa che noi qui non possiamo che invidiare…

Non penso che aumentare le tasse comporti pericoli immediati per Putin. Il presidente, dal punto di vista politico, è in una botte di ferro. Non rischia rivolte.

Elivira Nabiullina
Elivira Nabiullina

Ma quale sarebbe l’effetto sull’economia?

Queste tasse sono distorsive. L’aumento avrà un effetto negativo. A meno che il gettito fiscale aggiuntivo non venga investito in progetti infrastrutturali che promuovano la crescita. E non è questa l’intenzione. Le nuove entrate saranno destinate all’industria della difesa e alle forze armate. Con effetti potenzialmente deleteri sia nel breve che nel lungo termine.

Non è troppo pessimista sull’economia russa? Non solo ha dimostrato resilienza, ma sta accelerando il ritmo di crescita. La banca centrale calcola che nel primo trimestre di quest’anno sia stato del 4,6 per cento…

In Russia tutti sono attualmente un po’ troppo ottimisti sull’economia. L’economia va bene, è vero. Sembra tutto fantastico. Ma la crescita è dovuta quasi unicamente allo stimolo fiscale. È l’enorme spesa pubblica che sostiene l’aumento del Pil.

E ciò che nella prima metà del secolo scorso predicava l’inventore della macroeconomia, John Maynard Keynes.

Il problema è che le soluzioni keynesiane funzionano solo durante una recessione. Quando si ha a disposizione capacità inutilizzata. La Russia è in una situazione del tutto diversa: è in una fase di surriscaldamento economico, per utilizzare una delle terminologie possibili. Non c’è sufficiente manodopera. Quindi i salari aumentano. E questo spinge l’inflazione. Costringendo la banca centrale a mantenere molto alti i tassi d’interesse reali. Che frenano gli investimenti. Così si cancella ogni possibilità di sviluppo per tutti i settori non strettamente legati all’industria della difesa e alle forze armate. Perché è solo al complesso militare che andranno le entrate dovute all’aumento della tassazione. Il governo non ne fa mistero. Tornando a Keynes, in una simile congiuntura la spesa pubblica dovrebbe diminuire, per raffreddare l’economia. Non certo aumentare. Tantomeno destinando entrate fiscali aggiuntive a favore di un solo settore dominante.

A parte industria bellica e affini, come vanno gli altri settori dell’economia russa?

Non hanno accesso ai grandi appalti né ai crediti agevolati. Il costo del lavoro si è impennato. E quello del capitale è da tempo alle stelle. Stanno davvero soffrendo, i settori diversi da quello della difesa. Niente di drammatico, per ora. Ma la struttura economica sta cambiando di giorno in giorno. Si investe solo nel complesso industriale militare. Non è sostenibile. Sono cose che prima o poi si pagano. E care. Resta solo da capire quando.

Intanto i salari aumentano. Più 5,8 per cento lo scorso anno e altrettanto nel primo trimestre del 2024. La gente è contenta. Significa ancora più sostegno per Putin?

Oh certo. Tutti felici. Gli esseri umani si adattano. Non ricordano che nel 2013, prima dell’annessione della Crimea e dell’inizio del conflitto nel Donbass, il ritmo di crescita dei salari era  ben maggiore.

L’economia di guerra e l’aumento dei salari stanno riducendo la diseguaglianza?

Sì, soprattutto tra le diverse regioni della Russia. È soprattutto da quelle più povere che arrivano i soldati mandati in linea. E la loro paga è una manna per molte famiglie (un soldato volontario guadagna circa duemila euro al mese, quasi quattro volte il salario medio in Bashkiria, per esempio, ndr).

La Russia produce sempre meno beni di consumo e ne importa sempre di più. Il governo vuole evitare quello che ai tempi dell’Urss si chiamava “defitsit”: l’incubo degli scaffali vuoti. È vero o è propaganda occidentale?

In parte è vero e in parte è propaganda. Si produce sempre meno di ciò che non attiene al settore militare. Ma non è vero che non si produca niente. Il settore tessile, per esempio, ha avuto un incremento notevole dopo l’imposizione delle sanzioni. La sostituzione dell’import dall’Occidente in questo caso ha funzionato bene. Anche perché non serve molta tecnologia, nel tessile. Le produzioni sostitutive post-sanzioni hanno contribuito finora alla crescita, accanto al settore della difesa. Ma oggi tutto quel che si poteva sostituire lo si è sostituito. Questa fonte di espansione si è esaurita. Al contempo, nei settori più tecnologici non “sostituibili” diminuisce la qualità dell’import. Non si comprano più Bmw e Volkswagen ma auto cinesi. C’è meno qualità e meno varietà. I russi sono in ritardo. Si sono allontanati dalla frontiera tecnologica del mondo.

Ma la tecnologia ve la fornisce la Cina…

Però la Cina è molto attenta a condividere con la Russia solo la tecnologia che conviene condividere. Inoltre, in molti campi la Cina è indietro rispetto all’Occidente. E la Russia rispetto alla Cina. Non è una situazione ideale.

Riassumendo: Putin e i suoi collaboratori, Nabiullina a parte, a San Pietroburgo hanno rivendicato con orgoglio l’ “economia di guerra” e l’aumento della spesa che fa crescere il Pil. Ma quanto può spendere di più per il settore militare, la Russia? Attualmente siamo a oltre il 7 per cento del prodotto interno lordo. Significa il 35 per cento delle finanze pubbliche. Ci sono ancora margini?

In un Paese autoritario il governo può fare di tutto. Potrebbe ancora aumentare la spesa militare, almeno temporaneamente. Ma non credo lo farà. Il limite è stato raggiunto. Potrebbe esser superato solo in circostanze eccezionali. Come una escalation della guerra. Le riserve la Russia ce le ha (circa 600 miliardi di dollari in valute straniere nel maggio 2024, secondo dati della banca centrale, ndr). Ma si cercherà di evitare ulteriori sbilanciamenti. Si capisce che si potrebbero creare problemi economici enormi. Lo stesso Putin ha recentemente ricordato come l’eccesso di spesa militare contribuì a provocare la dissoluzione dell’Urss.

L’economia di guerra è qui per rimanere?  Putin dovrà continuare a fare guerre per assicurare la crescita nel suo Paese? O anche questa è propaganda occidentale?

In Russia ci sono lobby molto potenti che spingono in questa direzione. La pressione è enorme. Non è detto che ci siano altre guerre. Ma probabilmente continuerà a valere la narrativa secondo cui siamo circondati da nemici e quindi dobbiamo accumulare armamenti. La contrapposizione all’Occidente è il fondale di questo scenario. Lo resterà. Il meccanismo è avviato. Per ora funziona. E quando le cose si mettono in moto, anche in economia, è poi difficile fermarle.

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