“Mio figlio è cresciuto con la quasi assenza di sua madre”, diceva una lavoratrice dei supermercati allo sciopero di novembre della grande distribuzione. Perché: “Una donna non è solo lavoro, è tutto il resto”, aggiunge una collega al picchetto. Ed è vero, perché come sempre ci ricordano gli istituti statistici, sulle donne grava il peso della cura familiare, dei parenti anziani e dei bambini.
Ora però, per le donne che lavorano nella grande distribuzione dei supermercati, riuscire a campare è diventato quasi impossibile. Per questo oggi in tutta Italia c’è lo sciopero dei supermercati di Federdistribuzione, Confesercenti e Distribuzione Cooperativa, che raccoglie circa 300mila lavoratori in tutto il paese. Per queste sigle, da mesi, i rinnovi dei contratti nazionali sono bloccati in una trattativa in cui le aziende non vogliono cedere sul taglio di alcuni diritti – e dei salari.
Lo sciopero principale, con annessa manifestazione, va in scena in queste ore a Milano, organizzato dalle sigle confederali Filcams, Fisacat e Ultucs. Ed è già la seconda volta che succede: lo scorso 7 novembre c’era stato uno sciopero nazionale per le stesse ragioni. Da allora, quasi nulla è cambiato. Una situazione che, per i sindacati: “Si protrae da almeno due anni”, come scrivono nel comunicato unitario.
Le catene interessate sono fra le più grandi, quelle dove ci rechiamo tutti i giorni a comprare: Auchan, Coin, Esselunga, Leroy Merlin, Conad, i punti vendita Coop. In questi supermercati ora i lavoratori, e sono soprattutto donne, decidono di scioperare in pieno delle festività natalizie per difendere quasi tutto: la liberalizzazione dei turni, il lavoro serale, il lavoro durante le feste (appunto), la diminuzione del salario e dei permessi retribuiti.
I punti di contrasto fra sindacati e catene sono tanti. Coinvolgono la quasi totalità delle condizioni di lavoro. “Non vogliono pagarci la maggiorazione quando andiamo a lavorare i giorni festivi”, spiega un lavoratore all’ultimo sciopero. “Inoltre, non vogliono pagarci gli straordinari e la quattordicesima”. Non solo. Esiste una differenza di 1.000 euro fra questi rinnovi e i nuovi contratti siglati di recente per le catene di Confcommercio. E c’è anche la questione del congelamento degli scatti di anzianità.
E mentre si allunga la risoluzione di un nuovo contratto nazionale di tutti i sindacati, si profila il rischio che alcune di queste grandi catene decidano di uscire dalle trattative e regolamentare in proprio i rapporti di lavoro. Potrebbe essere solo la prima tessera di un domino che porterebbe a una dolorosa reazione a catena: quella della giungla delle trattative individuali – che già esistono nei supermercati – in cui il sindacato non ha più potere.
Ma i sindacati hanno già perso terreno nei supermercati negli ultimi anni. Mentre i sindacati di base sono sempre più presenti, sigle di maggioranza laddove i lavoratori non si fidano più di Cgil, Cisl e Uil. “La vita di oltre 3 milioni di lavoratori è già cambiata in peggio”, spiega sul suo blog Francesco Iacovone, sindacalista di base USB che da anni si occupa di supermercati. E che è contrario allo sciopero di oggi, perché per lui la battaglia i sindacati confederali l’hanno già persa lo scorso marzo, con la firma del nuovo contratto del commercio che ha inasprito le condizioni di lavoro per tutti i dipendenti del settore, da sempre uno dei più grandi laboratori di precariato in Italia.
“Il peggiore dei contratti possibili”, lo ha definito Iacovone. Lo scorso contratto siglato da Confcommercio, infatti, alza le ore dello straordinario settimanale, rende i turni più flessibili e demonetizza il lavoro domenicale. “La nostra piattaforma è un’altra”, dice Iacovone, che nei supermercati ha lavorato tanti anni. “Per il diritto al riposo e alla malattia retribuita. Per un salario dignitoso e non le briciole che ad ogni rinnovo vanno a compensare i tanti diritti sottratti”, conclude.
La questione in ballo nello sciopero di oggi è fondamentale per il futuro di questi lavoratori. Perché le condizioni di lavoro dei supermercati sono già molto difficili. E riguardano da vicino il lavoro delle donne, che in Italia lavorano di più, vengono pagate meno degli uomini, e vengono spesso licenziate quando si ritrovano incinta – perdendo poi anche anni di contributi che creano un danno alla futura pensione (e questo succede solo in Italia).
Questa realtà di sfruttamento generalizzata è ben descritta sul gruppo Facebook “La solitudine della cassiera”, da cui nel 2012 un gruppo di commesse scrisse una lettera al comico Luciana Littizzetto, a quel tempo testimonial del marchio Coop, per lamentare le difficili condizioni di lavoro in quei supermercati. Si parla di lavoratori soprattutto part-time, che portano a casa fra i 600 e gli 800 euro al mese.
A cui ora, col taglio della tredicesima, dei primi giorni di malattia, degli straordinari, e con la demonetizzazione di domenica e festivi, viene inflitto un duro colpo alle paghe già risicate. Con un un peggioramento generale delle condizioni di vita delle donne. Perché quelle che si occupano a casa dei bambini o dei parenti, vivono una difficoltà estrema con i nuovi turni domenicali, la flessibilità degli orari comunicati all’ultimo via sms, e senza più la possibilità degli straordinari per arrotondare il part time.
Una condizione di lavoro sempre più dura, che pesa principalmente sulle donne. Quelle del lavoro nei supermercati a Natale, che in questi giorni di festività dovranno fare dei turni massacranti di lavoro, senza straordinari e di domenica. “So cosa si nasconde dietro il sorriso che mostriamo ai clienti”, scrive Iacovone sul suo blog che racconta le cassiere. A loro, ora le cose andranno anche peggio.