Per gli ex sudditi delle colonie Elisabetta è stata tutto tranne che la regina buona
Di Bruno Montesano
La regina Elisabetta ha oscurato la sanguinaria storia della decolonizzazione, le cui proporzioni e eredità ancora tardano ad essere riconosciute. Così scrive Maya Jasanoff, professoressa di storia ad Harvard, in un commento pubblicato sul New York Times in cui invita a “piangere la donna” ma a non ignorare la sua ambivalenza verso l’impero britannico, trasformato dalle lotte anticoloniali. Per approfondire questo tema, raggiungo Subir Sinha, professore della SOAS (School of Oriental and African Studies) di Londra, università nota per la riflessione critica sulle questioni coloniali e razziali. Discutiamo così del rapporto della regina Elisabetta II con l’impero britannico e le classi popolari inglesi. Sinha si occupa di mutamenti istituzionali e movimenti sociali, con particolare attenzione all’India e ai dibattiti tra pensatori postcoloniali e marxisti. Recentemente, inoltre, ha fatto ricerca sull’uso di Twitter nelle mobilitazioni durante la pandemia.
Professor Sinha, i media tendono a occuparsi del successo popolare della regina ma ad ignorare il coinvolgimento nella storia coloniale britannica. Come valuta le responsabilità della regina?
Nel Regno Unito vige una monarchia costituzionale. Elisabetta II è salita al trono nel 1952, pochi anni dopo l’indipendenza dell’India, quando la regina non aveva più responsabilità dirette nella gestione delle colonie. Era una figura di rappresentanza, a differenza di Vittoria, per esempio, che ebbe un ruolo diverso, pur se declinante rispetto al periodo precedente. Finché non potremo accedere agli archivi – dove comunque non so quanto sia tenuta traccia delle posizioni della regina -, non sapremo mai fino a che punto Elisabetta fosse coinvolta. Qui, si insiste molto sulla non interferenza della monarchia negli affari pubblici e quindi devono mantenere questo principio. Ad ogni modo, non poteva dire “torturate”, così come non poteva dire “non torturate”. Tuttavia, la sua esperienza di regina si sovrappone alla grande ondata dei movimenti anticoloniali degli anni ‘50 e ’60. E quindi anche alla repressione che li ha colpiti. L’impero è stato responsabile di efferati crimini in diversi luoghi, come ad Aden, nell’attuale Yemen, in Kenya, così come in Sudan. Tutti questi paesi sono stati oggetto di una notevole violenza razzista. Lei era la regina, ma non decideva. Le decisioni sull’impero furono prese dai governi eletti, e in particolare da quelli laburisti. Per questo Frantz Fanon era disgustato dalla sinistra europea. Al contempo, sostenere come fanno diversi media, anche di sinistra, che la regina “abbia ceduto l’impero” è sbagliato. Anzitutto, non è vero, che la regina abbia favorito la decolonizzazione. La personalizzazione è fuori luogo, non è andata così. Non l’ha decisa lei. L’impero è caduto sotto i colpi di potenti movimenti anticoloniali. Anche il giornalista di Novara media, Aaron Bastani (uno dei punti di riferimento del movimento accelerazionista, ndr) è caduto in questo errore.
Shridath Ramphal, segretario generale del Commonwealth tra il 1975 e il 1990, ha ricordato gli scontri con Thatcher sulle sanzioni volte a colpire l’apartheid in Sud Africa. In Italia anche a sinistra c'è chi ha sottolineato il rapporto con Mandela. Come valuta l’ambivalenza di Elisabetta II sulle nazioni postcoloniali?
Era amica di leader stranieri, di Mandela, di Ramphal, così come di Indira Gandhi: era il canale di comunicazione tra la classe dirigente inglese e le nazioni postcoloniali. Aveva un ruolo formale nella gestione delle colonie, neanche consultivo, dal momento che non discuteva le politiche. Faceva attività “di rappresentanza” e, a volte, faceva emergere le sue preferenze. La regina, rappresentando il Regno Unito all’estero, disse di avere una relazione molto stretta con l’Africa, di averla girata e conosciuta profondamente. Ma ciò avveniva mentre la colonizzazione continuava in nuove forme. Permetteva di rappresentare come “positiva” la relazione tra metropoli e ex colonie mentre lo sfruttamento proseguiva. Dava una copertura caritatevole. Addolcì e mascherò il rapporto ineguale con le ex colonie. Era una sorta di tocco gentile su una ferita aperta. In merito, c’è un video che sta circolando in queste ore della scrittrice ghanese Ama Ata Aidoo in cui vengono denunciate le colpe storiche del colonialismo europeo e il perdurare delle relazioni di potere postcoloniali. Aidoo dice chiaramente che la dominazione non è affatto terminata.
La violenta repressione inglese delle lotte irlandesi avvenne mentre Elisabetta era a capo del Regno Unito. Che reazione c’è stata in Irlanda alla morte della regina?
È dove ci sono state le reazioni più irriverenti alla sua morte, come si può vedere sui profili Twitter di chi vive lì. D’altronde, l’Irlanda è un territorio ancora colonizzato. Lì, le truppe inglesi si sono macchiate di vere e proprie atrocità. Il punto è che tanto l’esercito, quanto la chiesa e lo stato sono responsabili della repressione e tutte e tre queste strutture hanno come figura apicale formale la regina. Nella repressione non era coinvolta direttamente, ma non si è neanche mai espressa contro di essa. E comunque l’Irlanda è stata colonizzata dalla corona britannica. Perciò, è ancora molto odiata. Ieri, in una partita di calcio alcuni tifosi hanno urlato dagli spalti “Lisa è morta, Lisa è morta”. Poi, sull’altro fronte, ci sono i lealisti, le milizie protestanti, connesse a pezzi dell’esercito inglese, che hanno ovviamente una posizione diversa. Con la Scozia, invece, la questione è diversa. La regina vi intrattiene rapporti molto stretti, per questioni di parentela, dal momento che discende da Roberto I di Scozia. Ha passato molto tempo lì e suo marito, il principe Filippo, è duca di Edimburgo. Morta Elisabetta, non ci sono più molte ragioni per un rapporto particolarmente stretto con la Scozia. L’indipendentismo potrebbe uscirne rinvigorito. Al contempo, la Scozia ha già fatto un referendum, ha avuto la possibilità di separarsi ma è andata diversamente. Quindi, su di ciò non si può dire che la responsabilità sia della regina.
Nel contesto post-Brexit e dopo la vittoria di Liz Truss con i suoi desideri imperiali di una rinnovata Global Britain, quale potrebbe essere il futuro della monarchia?
Da tempo c’è un forte movimento repubblicano e antimonarchico nel Regno Unito, che, dopo la morte di Elisabetta, potrebbe crescere. Tuttavia, non si possono avere certezze su se questo movimento possa vincere o meno nel prossimo decennio o ventennio. Rispetto al sogno – o incubo – di una Global Britain, bisogna partire dalla presa d’atto che il Regno Unito, così come gli altri stati europei, è in declino. Conta sempre di meno negli affari globali ed è diventato un attore sempre meno rilevante. E questo declino non può essere fermato. Ma il Regno Unito manterrà un relativo livello di potere perché è ancora uno dei centri finanziari globali, uno snodo nel commercio di armi, ed è tutt’ora la meta di diverse élite postcoloniali che stabiliscono a Londra la propria dimora. Può aspirare a tutto il potere che vuole, ma è in declino. Brexit e la scelta di un leader come Boris Johnson sono stati segnali in questo senso. Per concludere: la morte della regina potrebbe favorire il processo di riunificazione dell’Irlanda, così come rilanciare la lotta indipendentista in Scozia. Il Regno Unito diventerà più piccolo. Pertanto, la Global Britain di Truss difficilmente sarà qualcosa di più di un vuoto slogan.