Si è aperta oggi la due giorni di Piazza Grande, la kermesse nata da un appello del governatore della Regione Lazio per rinnovare il centrosinistra, dentro e oltre il Partito democratico. Nicola Zingaretti organizza le truppe, stringe alleanze e costruisce la sua narrazione verso la sfida del congresso. L'Ex Dogana di San Lorenzo è affollata di militanti, qualche curioso, amministratori locali, ma soprattutto di uomini e donne in cerca di una casa, della scintilla che riaccenda l'entusiasmo dopo la sconfitta del 4 marzo e che metta fine all'eterna resa dei conti interna. L'età media non è jurassica, cosa tutt'altro che scontata. "È una storia nuova", ripetono attivisti e dirigenti aggirandosi tra le sale e il cortile: nessuna bandiera del Pd, solo il brand della convention che tutto vuole essere tranne che il punto di inizio di un nuova corrente. Pochi i big del partito, in prima fila c'è il segretario Maurizia Martina, siede vicino a Zingaretti, lancia l'appello di rito all'unità e annuncia le primarie per febbraio 2019, giusto in tempo per affrontare la sfida delle europee.
Zingaretti ha vinto ogni volta che il Pd ha perso, a ogni sfida elettorale ha preso più voti di quanto prendesse il partito, è stato lontano dall'agone politico nazionale. Tirato per la giacchetta tante volte, ha sempre deciso di rimanere al suo posto di amministratore, poi la di intraprendere la sfida della segreteria nel momento più difficile per la vita del Partito democratico: o si cambia tutto o non ci sarà più niente da difendere. Pacato e concreto, il marchio di fabbrica del suo successo e della sua immagine è la buona amministrazione. Non è un caso allora che ad aprire Piazza Grande sia propria una schiera di amministratori locali provenienti dal Nord e dal Sud. Sindaci e assessori del Pd e di esperienze civiche, raccontano le loro buone pratiche, ripetono il mantra di "ripartire dai territori", testimoniano le "buone pratiche" messe in campo dove il centrosinistra governa.
Ma le "buone pratiche" e il "buongoverno" degli amministratori locali possono forse bastare per vincere il congresso e le primarie del Partito democratico, certamente non sono sufficienti per riconquistare un paese in cui il senso comune ha virato a destra, dove le campagne elettorali si giocano sul filo del razzismo e l'elettorato del populismo di destra di Matteo Salvini sembra saldarsi sempre di più con quello del populismo gentista del Movimento 5 stelle. In un paese dove sinistra è diventata sinonimo di establishment, serve intraprendere la società non solo gli elettori fedeli che rischiano di diventare una platea sempre più esigua.
Zingaretti ha chiarito che il suo modello non è Emmanuel Macron, che invece piace tanto a Matteo Renzi. Ma a chi guarda allora il governatore? Rinnovare i partiti socialdemocratici non è un'impresa facile, travolti dalla crisi della globalizzazione e dal divorzio tra sviluppo capitalista e redistribuzione della ricchezza sembrano in una crisi irreversibile. Fare marcia indietro dopo aver imboccato con decisione la "terza via" non è semplice, ma qualcuno sembra essersi riuscito. Per questo Zingaretti farebbe bene a studiare la rivoluzione del Labour lanciata da Jeremy Corbin e ai successi di Bernie Sanders negli Usa.
Sostenuto da una rete di agguerritissimi attivisti, il vecchio dissidente sessantottino Corbin ha rilanciato il Labour con una critica senza appella al blairismo. Momentum, il network di associazioni e società civile che lo sostiene, assedia collegio per collegio i candidati della destra del partito attirando sindacalisti, ambientalisti, femministe, studenti. Energie e idee nuove che mai avrebbero pensato di iscriversi a un partito, men che meno al partito che negli ultimi vent'anni è stato l'apripista della conversione della sinistra al credo neoliberista e al mercato.
Negli Stati Uniti non si è invece dispersa l'onda che ha fatto sperare nella vittoria di Bernie Sanders alle primarie democratiche, vinte invece da Hilary Clinton. La nuova sinistra del partito continua ad organizzarsi e a costruire l'opposizione all'amministrazione Trump. Il volto dei socialisti democratici è quello di Alexandria Ocasio Cortez. Latina, ventotto anni, cameriera del Bronx ha sbaragliato alle primarie il pezzo grosso dei dem Joseph Crowley, parlando di salario minimo, controllo delle armi di fuoco, chiusura delle carceri private, redistribuzione della ricchezza.
Corbin e Sanders non hanno paura di pronunciare la parola socialismo. Hanno programmi riformisti e hanno riconquistato i loro partiti alle istanze popolari lanciando parole d'ordine dalla forte impronte sociale. Lo scorso 2 ottobre il multimiliardario proprietario di Amazon Jeff Bezos ha annunciato l'innalzamento del salario minimo a 15 dollari per tutti gli impiegati del suo colosso. Una vittoria proprio di Sanders che ha appoggiato con forza il movimento Fight for $15, che si batte proprio per innalzare il salario minimo.
La riconquista popolare del Partito democratico è possibile? Questa è la sfida. Se Zingaretti vuole cambiare davvero le cose dovrebbe guardare a quello che accade in Inghilterra e negli Usa: senza mettere al centro la questione sociale, battere Lega e il Movimento 5 stelle non è possibile. Senza un programma con al centro in maniera inequivocabile la giustizia sociale non è possibile rilanciare un riformismo che conquisti gli elettori. Le buone pratiche e l'ambizione di costruire un "campo largo" è un buon inizio, ma non basta.