Patrick Zaky, parla la sorella Marise: “Siamo terrorizzati che prenda il Covid: lui è asmatico”
Patrick Zaky è ormai detenuto da 8 mesi. Sua sorella Marise non lo vede da marzo e nel corso della sua permanenza nel carcere sono state poche le volte che hanno potuto incontrarsi. L'attivista era stato arrestato la mattina del 7 febbraio scorso, appena atterrato al Cairo dall'Italia. Era stato fermato dalla polizia ed era poi scomparso per le successive 24 ore. Dopo un giorno, l'annuncio del suo trasferimento a Mansoura, in Egitto, dove secondo i suoi avvocati è stato interrogato sul suo lavoro di attivista, minacciato, picchiato e sottoposto a scosse elettriche. Su di lui pendeva un mandato d'arresto nel Paese dal settembre 2019, ma Patrick non ne sapeva niente.
Avrebbe dovuto rimanere in carcere per 15 giorni, con lo scopo di prolungare la durata delle indagini, ma sono ormai otto mesi che Zaky è detenuto con le accuse di propaganda terroristica contro lo Stato tramite la diffusione di fake news. L'attivista era iscritto da settembre 2019 all'Università di Bologna, dove frequenta il master "Gemma" dell'Erasmus Mundus in studi di genere e delle donne. Era tornato in Egitto per trascorrere qualche giorno con i genitori a Mansoura, la sua città natale. Adesso si trova nel carcere di Tora, nell'omonima città a sud del Cairo. A causa della pandemia da Coronavirus, le visite già sporadiche consentite ai familiari sono diventate ancora più rare. Ha potuto scrivere una lettera nella quale non avrebbe però potuto dire tutto quello che avrebbe voluto a causa dei rigidi controlli del personale di sicurezza del carcere.
"Non riusciamo a vederlo da agosto"
Sua sorella Marise non lo vede da marzo e tutto quello che ha di suo fratello sono i racconti della madre, che è stata l'ultima a poterlo guardare negli occhi. Quando parla di Patrick è spaventata dalle possibili ripercussioni che un'esposizione mediatica potrebbe avere sulla sua famiglia e su suo fratello. Cerca di far capire quello che pensa senza sbilanciarsi troppo. "Con il Coronavirus le visite sono diventati impossibili – dice a Fanpage.it -. Prima non potevamo vederlo spesso, è vero, ma con l'epidemia le cose sono diventate praticamente impossibili. Non lo vedo da marzo mentre i miei genitori lo hanno visto separatamente. L'ultima a incontrarlo è stata mia madre nel mese di agosto. Ora comunichiamo tramite delle brevi note scritte in cui probabilmente non può dire tutto quello che vorrebbe. La pandemia gli ha addirittura impedito di incontrare il suo avvocato". Le missive che riesce a far recapitare ai familiari, infatti, sono piuttosto brevi. Delle sue condizioni di salute non dice niente: il Covid ha ucciso un giornalista detenuto nel medesimo carcere e non è difficile immaginare quindi un focolaio all'interno della prigione. La famiglia, però, non ha informazioni a riguardo. "Mia madre dice che Patrick è molto dimagrito – spiega Marise – ma non so molto altro. Vuole tornare a studiare, rivuole la sua vita di sempre e vuole tornare a Bologna. Noi siamo molto spaventati per quanto riguarda l'epidemia, perché non sappiamo se i detenuti riescono ad avere l'accesso alle cure mediche, soprattutto i dissidenti come mio fratello sui quali l'attenzione della stampa estera è comunque alta".
La sorella di Zaky spiega che un tampone positivo per l'attivista potrebbe rappresentare un rischio molto serio. "Mio fratello soffre di asma, quindi ha già delle difficoltà respiratorie. Il Coronavirus potrebbe causargli gravi problemi di salute. Comunichiamo con lui tramite alcuni bigliettini, ma non sono note che riusciamo a scambiarci sempre. Gli mandiamo delle cose e il fatto che le riceva dovrebbe rassicurarci sulle sue condizioni, ma in realtà non sappiamo quando e se questi oggetti gli vengono recapitati".
Il Covid-19 nel carcere di Tora
Sembra che nel mese di marzo, quando ancora era possibile incontrare i familiari, il personale del penitenziario usasse tutti i dispositivi sanitari utili a prevenire il contagio. La morte del giornalista Moahmed Mounir, positivo al Covid, fa temere l'esistenza di un focolaio interno al carcere di Tora. Le celle rimangono strapiene e il distanziamento resta praticamente impossibile. Sembra che non vi sia inoltre filtraggio dell'aria che rende il contagio da Coronavirus molto più semplice in condizioni di sovraffollamento. L'Egitto ha raggiunto i 5mila decessi e ha superato i 100mila contagi, tuttavia le autorità continuano a sostenere che non esista un'emergenza all'interno dei padiglioni carcerari.