Patrick Zaki, la sorella Marise: “L’Italia gli conceda la cittadinanza”
La famiglia di Patrick Zaki chiede la cittadinanza italiana per il giovane attivista egiziano che studiava in Italia, arrestato al Cairo quasi un anno fa e ancora detenuto in Egitto. Al ragazzo era già stata concessa la cittadinanza onoraria della città di Bologna, ma ora la famiglia chiede che l'Italia, sua casa adottiva, lo tuteli con lo status di cittadino italiano. "La raccolta firme per ottenere la cittadinanza è un'ottima iniziativa, ma spero non resti soltanto tale" ha dichiarato la sorella di Patrick, Marise. L'appello è stato rivolto in particolare al nuovo governo che sta per insediarsi a Roma.
A un anno dall'arresto dell'attivista egiziano, la famiglia Zaki chiede più impegno sulle operazioni per il rilascio. "Il Governo dice che ha lavorato con azioni riservate per farlo uscire dal carcere – spiega ancora la sorella Marise – eppure è ancora lì dentro. I rapporti commerciali con l'Egitto dovrebbero far ben sperare per ottenere la libertà di Patrick, eppure sembrano essere stati un ostacolo persino per le indagini su Regeni". La famiglia precisa ancora che Patrick è un uomo innocente attualmente in prigione per il suo impegno nel campo dei diritti umani.
Le accuse presentate in tribunale, specifica ancora, si sono rivelate infondate, eppure non è stato sufficiente a garantire la libertà a Patrick. "Attualmente contiamo sull'attenzione dei media e dell'opinione pubblica per garantire a mio fratello almeno l'incolumità – continua Marise -. L'Università di Bologna in questo è stata magnifica: sta lavorando giorno e notte per la libertà di Patrick e si impegna molto di più di qualunque altro organo governativo".
Già durante l'ultima visita in carcere, Patrick aveva confidato alla sorella di non essere in un buono stato di salute, psicologico e fisico. A Fanpage.it, Marise aveva raccontato le preoccupazioni del giovane attivista apprese nell'incontro del 27 dicembre 2020: l'Università a Bologna che ha dovuto lasciare, i dolori alle ossa e alla schiena dovuti alle condizioni precarie in carcere, i problemi di respirazione che non vengono adeguatamente curati e l'incredulità per la sua permanenza in carcere nonostante non vi siano prove a suo carico. Psicologicamente, Patrick è depresso e la sua permanenza in carcere rinnovata ogni 45 giorni non gli permette di vedere il futuro.
Le condizioni di detenzione sono sempre peggiori: Patrick avrebbe addirittura dormito a terra in carcere e la pandemia, con conseguente rischio di contagio, rappresenta una paura concreta per lui e per i suoi familiari. Le visite in carcere sono state interrotte con la scusa del contagio per molti mesi, ma il virus rappresenta una minaccia anche dall'interno per Patrick. I casi di positività, infatti, vengono insabbiati: è quanto accaduto al giornalista Moahmed Mounir, affetto da Covid e morto all'interno del carcere di Tora. Le autorità hanno negato casi di infezione, ma le celle sono rimaste strapiene e il distanziamento è praticamente impossibile. Il filtraggio dell'aria, inoltre, mancherebbe e questo rende il contagio molto più semplice.