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Parolisi, il maschilismo e lo sconto di pena

E’ Salvatore Parolisi l’assassino di Melania Rea. Lo conferma la Corte di Cassazione che dice però “non più 30 anni”, non c’è l’aggravante “crudeltà”. La sentenza della Cassazione è l’ennesima espressione dell’Italia maschilista o è solo un tecnicismo giuridico?
A cura di Sabina Ambrogi
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Il caso Parolisi è uno dei  femminicidi più citati e più mediatizzati di questi ultimi anni. Continua a far reagire anche oggi che la Cassazione ha confermato che è proprio lui l’assassino della moglie Melania, ma ha annullato l’aggravante della crudeltà (art. 61 n.4 c.p) prevista nei due precedenti gradi di giudizio che lo condannavano a 30 anni di reclusione. Spetterà dunque alla Corte d’Assise d’Appello di Perugia rideterminare la pena per l’ex caporalmaggiore dell’Esercito. L'aggravante di crudeltà sostanzialmente prevede che ci sia l'intenzione di causare patimenti fisici o morali non necessari all'uccisione stessa. In questo caso sono state inferte coltellate con una particolare furia e quindi è chiara l'intenzione di uccidere ma secondo la Cassazione non si configurano le circostanze previste dall'articolo 61.

In breve i fatti: il caporalmaggiore del 235esimo Reggimento Piceno è sposato con Melania Rea. Sono genitori di una bambina di neanche due anni. Salvatore però è innamorato di una sua collega militare. Melania, che è a sua volta figlia di militari, scopre la relazione. I due litigano: Melania minaccia variamente Salvatore e forse anche l'amante dicendo che avrebbe svelato a tutto il loro ambiente quella relazione. Forse, minaccia anche pesantemente. Malgrado le liti, marito e moglie continuano a stare insieme. Parolisi non molla però la relazione con l'altra. Mente a entrambe le donne al punto che sta per presentarsi alla famiglia dell'amante, come suo nuovo compagno, poiché – finalmente – si sarebbe liberato del suo matrimonio. Ma farà altro: durante un'uscita assieme alla loro figlioletta di neanche due anni, uccide la moglie Melania, a Colle San Marco a Ascoli Piceno, con 35 coltellate. Successivamente l'ex militare si serve, come spesso avviene, della tv e di tutti i media, depistando indagini e manipolando dettagli. Inveisce anche contro l'assassino, scrive lettere, si difende e continua a dirsi innocente. Del resto nel ricorso presentato dai suoi legali si era chiesto alla Corte di Cassazione di annullare la sentenza di condanna. Oggi la Cassazione invece conferma che Parolisi è colpevole ma dice anche che l'aggravante della crudeltà è da rivedere. E questo ovviamente inciderà sugli anni di pena comminati. Il ricalcolo della pena lo deve fare la Corte d'assise d'appello di Perugia.

E' dunque un tecnicismo giuridico e non è un dato di interpretazione, anche se ci fa indignare. Come dice la psicoterapeuta criminologa Luana De Vita: o si smette di fare i processi in tv e su facebook e di pensare alla pena comminata come risarcimento o soddisfazione della vittima e di noi spettatori, o si cambia la Costituzione che vuole che la pena del carcere sia l'inizio di una riabilitazione del condannato. Il successo secondo il nostro ordinamento è individuare correttamente il colpevole e che questo si ravveda, non risarcire l'emotività degli spettatori o degli utenti dei social. Inoltre, il compito della Corte di Cassazione è quello di verificare se le procedure siano corrette. Quando ne coglie difformità e inesatezze procedurali chiede appunto, come in questo caso, che siano riviste. Se si decide che la legge è uguale per tutti, è uguale anche per quest'uomo che deve essere giudicato correttamente dai tribunali e secondo il nostro regolamento”.

Anche se resta un sentimento di indulgenza da parte della Corte che fa pensare a un interpretazione fuorviata da una certa cultura è evidente che vadano separati i due piani: è Parolisi semmai ad essere il prodotto perfetto dell'Italia maschilista così come lo sono tutti gli ambienti militari. Quello di Parolisi è quello che comunemente viene chiamato “delitto passionale” secondo una definizione che fa arrabbiare perché sembra ancora una volta riassegnare la colpa a una donna “che non ama abbastanza”. Chiamiamolo allora omicidio “emotivo” visto che è il movente emozionale e non un furto ad esempio. Dice De Vita: “lui ha un'amante, ma non riesce a prendersi la responsabilità delle conseguenze della fine del suo matrimonio: la riprovazione sociale, sul lavoro, la riduzione immediata della condizione economica, la gestione libera del proprio tempo etc. E' allora che avverte la moglie come un ingombrante fardello, per cui decide di eliminarla proprio fisicamente. E con incredibile furia. Poi tutta quella messinscena successiva ne è la conferma: doveva riabilitarsi anche ai suoi occhi, secondo un sistema valoriale che si voleva dare senza riuscire. L'eliminazione della donna (fisica, metaforica o simbolica come avviene spesso nella nostra cultura) perché percepita come “la colpevole” della mancata realizzazione delle proprie pulsioni e dei propri disegni, delle proprie ambizioni magari, senza che l'uomo sia in grado di assumersi la responsabilità delle azioni, ecco questo, è veramente maschilista. Il numero delle coltellate in sé invece non prova necessariamente la crudeltà, almeno non secondo i parametri della legge. Semmai provano il tipo di relazione che intercorre tra omicida e vittima”.

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Autrice televisiva, saggista, traduttrice. In Italia, oltre a Fanpage.it, collabora con Espresso.it. e Micromega.it. In Francia, per il portale francese Rue89.com e TV5 Monde. Esperta di media, comunicazione politica e rappresentazione di genere all'interno dei media, è stata consigliera di comunicazione di Emma Bonino quando era ministra delle politiche comunitarie. In particolare, per Red Tv ha ideato, scritto e condotto “Women in Red” 13 puntate sulle donne nei media. Per Donzelli editore ha pubblicato il saggio “Mamma” e per Rizzoli ha curato le voci della canzone napoletana per Il Grande Dizionario della canzone italiana. E' una delle autrici del programma tv "Splendor suoni e visioni" su Iris- Mediaset.
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