Parma, gli oggetti delle vittime senza nome del Covid conservate in una stanza dell’ospedale
"Ignoto 214", "Anonimo 659", "Donna anonima 10": sono le etichette apposte alle sacche e alle scatole realizzate minuziosamente a mano da volontari che contengono gli oggetti delle vittime del Covid che nessuno ha mai reclamato. La loro storia è consegnata all'oblio, impacchettata, chiusa all'interno di una scatola con un numero e deposta su uno scaffale di una stanza dell'ospedale Maggiore di Parma che assomiglia a un grande magazzino. Testimonianza silenziosa di diversi aspetti che hanno contraddistinto questa pandemia: la confusione iniziale all'interno delle strutture ospedaliere che nelle prime battute erano impreparate a sostenere un'affluenza triplicata di malati, la solitudine dei pazienti Covid che, prelevati dalle loro abitazioni da operatori scafandrati non hanno mai più potuto vedere i loro familiari, il senso di impotenza e di rabbia di questi ultimi, privati della possibilità di qualsiasi forma di contatto fisico, ma anche la resistenza e la capacità di adattamento del personale medico e dei volontari. Sono stati proprio i volontari – centinaia di loro – che hanno preso l'iniziativa di affiancare il personale ospedaliero sostituendosi ad esso per la delicatissima pratica della riconsegna degli effetti personali delle vittime.
"Era la prima volta che si prendeva contatto con le famiglie dopo l'annuncio del decesso – racconta Stefano Andreoli, organizzatore dell'iniziativa in collaborazione con Parma WelFare – era quindi necessario selezionare volontari in grado di empatizzare e di mettersi all'ascolto dei parenti. E' stata un'esperienza molto positiva che ha messo in luce la fecondità del rapporto tra pubblico e privato in questo genere di iniziative, sotto l'egida di Parma WelFare". Al progetto hanno collaborato centinaia di persone con competenze diverse, da chi è rimasto "dietro le quinte" preparando e personalizzando le scatole a chi si è occupato di prendere contatto con i familiari, passando per chi ha svolto il lavoro di sanificazione e quarantena degli effetti personali. "Abbiamo anche messo a disposizione uno sportello d'ascolto e un prete per chi richiedesse questo genere di servizio", aggiunge il volontario referente di Parma WelFare, Gianfranco Bertè. In questo modo, secondo gli intervistati, si è riusciti a sopperire seppure in minima parte allo strazio della lontananza forzata, ai mesi di distacco da chi si ama e si è perso per sempre. "Rientrare in possesso di un oggetto appartenuto a un familiare deceduto ha una forte carica emotiva per i parenti – continua il direttore del servizio di prevenzione e protezione per l'Ospedale Maggiore di Parma Giuseppe Munacò – anche un semplice paio di occhiali, un libro o un carica batterie può diventare una preziosa reliquia, perché testimonia quell'ultimo tratto di vita del paziente". Un po' come se questi oggetti così semplici rappresentassero proprio nella loro "banalità" i puntelli della quotidianità in ospedale dei pazienti, che in certi casi hanno accompagnato fino agli ultimi momenti di vita.
Per rendere il processo di riconsegne il più umano possibile sono state coinvolte diverse realtà sia pubbliche che private, tra cui un'associazione per disabili che ha coinvolto i suoi utenti per abbellire le scatole attraverso disegni personalizzati. Il progetto ha inoltre visto la collaborazione delle AUSL, del Comune di Parma e dei sindacati Cisl e Uil. Grazie a questo lavoro, sono stati contattati complessivamente 613 nuclei familiari per la restituzione degli effetti personali dei cari deceduti ma anche dei sopravvissuti (35). Del totale, 494 hanno provveduto al ritiro (per una trentina la consegna è avvenuta a domicilio) e 119 non sono stati ritirati. 87 sono rimasti "anonimi" e 39 erano accompagnati ad un nominativo del quale però non è stato possibile reperire un recapito telefonico.
Dentro al Covid Hospital del Maggiore
Dopo aver visitato il Padiglione Rasori ci spostiamo verso il Covid Hospital, situato nel Padiglione Barbieri, a qualche centinaio di metri di distanza. Il Maggiore di Parma più che a un ospedale assomiglia ad un piccolo villaggio nella città, completo di svariati bar e, ristoranti e Cappelle. Senza una guida è facile perdersi in questo labirinto di viali costellato da padiglioni e reparti. Ad accoglierci al Covid Hospital c'è la sua direttrice Tiziana Meschi, che nel suo studio ci parla dei momenti drammatici che si sono consumati proprio qui da un anno a questa parte. "L'ospedale Maggiore di Parma e la città di Parma sono stati colpiti in maniera pesantissima dalla pandemia, soprattutto durante la prima ondata", ci spiega. "Nei mesi di marzo, aprile e maggio 2020 siamo arrivati ad avere fino a quasi 800 ricoveri al giorno. E' stata un'esperienza completamente nuova che ci ha messi a dura prova". La direttrice ci spiega che prima di essere convertito a Covid Hospital per le degenze ordinarie, il padiglione Barbieri ospitava il reparto di geriatria. "Eravamo quindi abituati ad avere una costante affluenza di parenti e familiari che assistevano i nostri malati giorno e notte. All'improvviso non ci è più stato possibile tenere il reparto aperto alle visite. I pazienti sono stati costretti a vivere un distacco che ha avuto un impatto pesantissimo su di loro, ma anche su di noi che li assistevamo. Ciò ci ha portati a diventare noi le loro famiglie, eravamo gli unici occhi che vedevano e le uniche mani che stringevano, anche negli ultimi momenti di vita". L'unico contatto dei pazienti con i loro cari erano le videochiamate: un palliativo che però non sopperiva alla necessità di un abbraccio.
"Abbiamo pianto molto e abbiamo imparato tanto", aggiunge la coordinatrice infermieristica Tiziana Vallara. "All'occorrenza ci siamo trasformati in piccoli giullari di corte, tentando di intrattenere i nostri pazienti, di coccolarli e farli sentire accuditi anche da un punto di vista emotivo". Attualmente presso l'Ospedale Maggiore di Parma sono ricoverati complessivamente 236 pazienti Covid, di cui 34 in terapia intensiva e semintensiva. Gli altri sono ricoverati nei reparti di degenza tra cui il Covid Hospital provinciale del Padiglione Barbieri, il reparto di malattie infettive e il reparto di clinica pneumologica. Si tratta di numeri in miglioramento rispetto ai mesi passati ma che non permettono assolutamente di abbassare la guardia. "E' cruciale che i cittadini italiani mantengano alta l'allerta – avverte Tiziana Meschi – Noi facciamo il nostro lavoro, utilizzando tutti i nuovi strumenti messi in campo quest'anno come le USCA (Unità Speciali di Continuità Assistenziali, n.d.r.) e l'UMM (Unità Mobili Multidisciplinari, n.d.r.), ma senza uno sforzo collettivo sarà impossibile uscire da questa emergenza. E' importante continuare a mantenere il distanziamento e indossare la mascherina anche se si è vaccinati, prediligere i contatti all'aperto ed evitare ogni tipo di assembramento".