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Omicidio Chiara Poggi: il delitto di Garlasco

Parla Alberto Stasi: “Mia coscienza leggera, chi dice che ho ucciso Chiara non sa di che parla”

Condannato in via definitiva a 16 anni per l’omicidio della fidanzata Chiara Poggi a Garlasco, Alberto Stasi in un’intervista per uno speciale sul delitto di Garlasco a Le Iene ribadisce la sua verità e accusa il sistema: “La mia coscienza è leggera, togliere libertà a un innocente è violenza”
A cura di Biagio Chiariello
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"Perché ho deciso di parlare oggi? Per dare un senso a questa esperienza perché certe cose non dovrebbero più accadere. Se una persona vive delle esperienze come quella che ho vissuto io questa deve essere resa pubblica, a disposizione di tutti, e visto che ho la possibilità di parlare lo faccio, così che le persone capiscano, possano riflettere e anche decidere, voglio dire, se il sistema che c'è va bene oppure se è opportuno cambiare qualche cosa". Dal carcere di Bollate, dove si trova rinchiuso per l'omicidio di Chiara Poggi, Alberto Stasi, oggi 38enne, rompe un silenzio che dura ormai da tempo. Lo fa nello speciale de “Le Iene” dal titolo ‘Delitto di Garlasco: la verità di Alberto Stasi'. Una puntata interamente dedicata a uno dei casi di cronaca nera più discussi nel nostro Paese, in onda martedì 24 maggio, in prima serata, su Italia 1.

Chi ha ucciso Chiara Poggi?

Tra le prime domande dell'inviato Mediaset c'è quella del se sia stato lui a uccidere l'allora fidanzata. "Quando mi chiedono se ho ucciso io Chiara penso che non sanno di cosa stanno parlando", risponde Stasi. "Sembrava di remare contro un fiume in piena andando controcorrente, fin dall'inizio: una volta lo scambio dei pedali, un'altra volta il test solo presuntivo, e l'alibi che mi viene cancellato, l'orario della morte che viene spostato". Un'accusa pesante al sistema giudiziario quella di Stasi che è in carcere ormai da sette anni. "Che verità c'è in tutto questo? Io sono stato assolto in primo grado, sono stato assolto in appello, sull'unica condanna il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione ha chiaramente detto ‘Non si può condannare Alberto Stasi', quindi, in Italia hanno un sistema che a oggi funziona così: la pubblica accusa dice ‘No, questa persona va assolta' ma, nonostante questo, la persona viene condannata".

Il caso Stasi

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Alberto Stasi, unico imputato per l'omicidio della fidanzata Chiara, era stato assolto in primo e secondo grado dall'accusa di omicidio. Due sentenze annullate in Cassazione che aveva chiesto un nuovo processo per dissipare i dubbi, con nuove indagini e l’acquisizione di nuove prove. Poi arrivò, nel 2015, la condanna a sedici anni di reclusione nel processo di secondo grado bis confermata anche dalla Suprema Corte.

Perché è stato condannato

Per la giustizia italiana il caso è chiuso. Per Stasi no. Nell'intervista ripercorre il suo primo interrogatorio, il giorno dell'arresto, e poi la scarcerazione "dopo quattro giorni, con un'ordinanza del giudice che smontava punto per punto quel provvedimento assurdo (…)".Un episodio che avrebbe segnato in maniera irreversibile tutta la vicenda processuale successiva e instillando nell'immaginario collettivo e, secondo lui forse anche in parte della magistratura, l'aura della sua colpevolezza. "Nell'immaginario comune un innocente in carcere è un qualcuno che soffre all'ennesima potenza. Per me non lo è, semplicemente perché la mia coscienza è leggera. Alla sera quando mi corico io non ho nulla da rimproverarmi. Certo, ti senti privato di una parte di vita perché togliere la libertà a una persona innocente è violenza, però non hai nulla da rimproverarti, l'hai subita e basta, non è colpa tua".

Stasi guarda al futuro

Dopo sette anni di carcere, l'ex studente bocconiano però guarda al futuro. "Oggi ho 38 anni e ho in mente di mettere a frutto tutte le esperienze negative che ho vissuto, un bagaglio conoscitivo che non può essere acquisito diversamente. Certe cose non le puoi metabolizzare se non le vivi. Se hai la fortuna, o sfortuna, a seconda del punto di vista, di vivere certe esperienze, acquisisci degli strumenti che puoi mettere a disposizione e io voglio fare questo. È un impegno diverso rispetto a quello che potevo desiderare quando avevo 24 anni, in cui volevo fare carriera nell'azienda più grande d'Italia, tanto per fare un esempio".

Cosa dice ai giudici?

Infine, "Cosa vorrei dire ai giudici che mi hanno condannato? Non saprei perché sono, in qualche modo, e in negativo, i protagonisti di questa vicenda. È difficile arrivare alla mente e al cuore di quelle persone. Il loro non è un mestiere banale, ha conseguenze sulla vita delle persone, come un medico in sala operatoria: ci sono lavori che non comportano queste responsabilità, altri invece sì. Se si decide di intraprendere un certo lavoro, una certa carriera, deve essere fatto in modo coscienzioso perché poi anche lì entrano dinamiche normali, di lavoro. La carriera, l'ambizione, il posto in un'altra sede, tutte cose che non dovrebbero avere nulla a che fare con la giustizia".

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