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“Papà uccise mamma, poi scontò solo 2 anni di pena”: Maria Elisabeth trasforma la sua storia in una tesi

Maria Elisabeth Rosanò, oggi 25enne residente a Girifalco, si è laureata con una tesi sulla violenza di genere. A ispirarla è stata proprio la sua storia personale: all’età di 6 anni, infatti, Maria Elisabeth ha assistito all’omicidio di sua madre Anja, uccisa dal marito con un fucile da caccia.
A cura di Gabriella Mazzeo
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Aveva 6 anni quando sua madre fu uccisa proprio davanti ai suoi occhi. Ora, Maria Elisabeth Rosanò ha racchiuso la sua storia in una tesi in sociologia sulla violenza di genere. La giovane, oggi 25enne, ha visto infatti sua madre morire per mano del padre. Anja, di origini tedesche, fu uccisa dal marito quasi 20 anni fa. L'uomo, con il quale la donna aveva avuto 3 figli, la uccise con un fucile da caccia nella loro abitazione di Campana, un  paesino della Presila cosentina.

La laurea con una tesi sulla violenza di genere

Maria Elisabeth si è laureata in Sociologia presso l'Università di Catanzaro con una tesi intitolata: "Violenza di genere nel contesto domestico calabrese". La dedica va proprio alla mamma Anja. "Sono sempre stata al tuo fianco per difenderti, per sostenerti. Tu non hai potuto farlo, ma tua figlia è sempre qui" ha scritto la 25enne nei ringraziamenti.

Nella sua tesi, la 25enne parla non solo della violenza di genere nel contesto regionale, ma anche delle "vittime collaterali" dei femminicidi, ossia i bambini rimasti orfani della loro mamma. La ragazza oggi vive a Girifalco insieme ai suoi genitori adottivi, Domenico e Mirella, che ogni giorno l'accompagnano nel suo percorso di vita e che l'hanno sostenuta anche nel giorno della sua laurea. Il trauma subito in tenera età è diventato per Maria Elisabeth un motivo per lottare contro la violenza di genere per i bambini rimasti orfani e spesso dimenticati dalla giustizia.

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Il racconto del femminicidio a Campana

"Avevo 6 anni, stavo giocando nella mia cameretta – ha ricordato la 25enne – quando ho visto mio padre prendere il fucile da caccia e uccidere mia mamma -. Sanguinante, lei si avvicinò a me e ai miei fratelli, e ci sussurrò che era arrivata la sua fine, ma ci giurò amore eterno". Da allora, Maria Elisabeth ha scelto di dedicare la sua vita alle vittime della violenza di genere.

Il padre della 25enne scontò solo due anni di carcere perché ai tempi il reato di femminicidio non esisteva ancora. Con le attenuanti, riuscì a ottenere una condanna ridicola per un omicidio simile. Maria Elisabeth, invece, si ritrovò in orfanotrofio insieme ai suoi fratelli. Per anni, come ha raccontato, è stata affidata a famiglie diverse. "Non avevo il tempo di affezionarmi perché venivo rispedita indietro come un pacco. Ho anche creduto di essere io il problema, mi sentivo abbandonata al mio destino. A 9 anni sono rinata nelle braccia di Mirella e Domenico che sono diventati i miei genitori adottivi".

L'adozione all'età di 9 anni

L'affetto della nuova famiglia ha colmato piano piano le ferite causate dal tempo passato in orfanotrofio e dal trauma del femminicidio. "Mi fa ancora male pensare agli assistenti sociali che cercano di distogliere i miei genitori dall'adozione, sostenendo che fossi troppo vivace e che li avrei fatti dannare. Loro però sono stati tenaci". Proprio per sopperire alla mancanza di sensibilità da parte delle autorità vissuta in prima persona, Maria Elisabeth ha scelto di intraprendere il percorso universitario in Sociologia presso la facoltà di Catanzaro, a pochi chilometri da Girifalco.

"Ho coltivato la mia propensione per l'impegno sociale cercando di dare voce alla testimonianza di mia madre. Volevo costruire una società più responsabile e attenta ai bisogni dei bambini e delle vittime di violenza". La tesi arriva dopo anni di studi e dopo un percorso di immersione nel proprio dolore personale.

L'incontro con il padre biologico

"Se sono arrivata qui – ha sottolineato ancora – è anche e soprattutto grazie ai miei genitori adottivi e grazie alla mia mamma biologica. La mia famiglia mi ha sostenuta anche quando ho voluto incontrare il mio padre biologico per cercare un frammento mancante nei ricordi di bambina. Non appena ha giustificato l'omicidio di mia madre con la rabbia per un suo presunto tradimento, ho deciso di non vederlo mai più. Mi ha privato dell'amore più grande e avrebbe dovuto scontare molti più anni in carcere. Invece, continuo a sentire i miei fratelli che, più grandi di me, si sono costruiti il loro futuro da soli".

Dopo la laurea, spera di poter lavorare presto in un centro antiviolenza per mettere la sua esperienza e la sua competenza a servizio delle altre donne e dei bambini. "Nessun minore dovrebbe vivere quello che io ho dovuto affrontare. Vivo ancora tra paura e attacchi di panico. Nessuno si dovrebbe sentire come me: una valigia che viaggiava da una casa all'altra senza sapere dove potesse fermarsi e finalmente aprirsi".

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