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News sulla morte di Pamela Mastropietro

Pamela Mastropietro, parla Oseghale: “Non l’ho uccisa io, vi spiego com’è andata”

“Ho fatto a pezzi Pamela ma non l’ho uccisa, voglio pagare per ciò che ho commesso e non per ciò che non ho fatto”. Queste le parole del 30enne nigeriano nella dichiarazione spontanea in Corte d’Assise a Macerata. Dopo il confronto tra i tecnici, restano due ipotesi sulla morte della giovane romana.
A cura di Biagio Chiariello
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“Non ho ucciso io Pamela, ci tengo a dirlo davanti ai suoi familiari". Innocent Oseghale rompe il silenzio. Al termine della sesta udienza del processo per l'omicidio di Pamela Mastropietro, l'imputato ha letto una lettera come dichiarazione spontanea. Davanti alla Corte d'Assise di Macerata, il 30enne nigeriano ha quindi ribadito per l'ennesima volta la sua versione dei fatti nel procedimento penale in cui deve rispondere dell'omicidio, dello scempio e del tentativo di occultamento del corpo della 18enne romana. Secondo Oseghale, la giovane ebbe un malore dopo aver assunto eroina nella sua mansarda in via Spalato a Macerata , e poi morì mentre lui era fuori per cedere marijuana.

Com'era già prevista, la sesta udienza del processo è stata caratterizzata dallo scontro tra i vari consulenti della difesa, che oggi parlavano per primi, e quelli della procura. In particolare la professoressa Paola Melai ha provato a spiegare che non è possibile escludere che Pamela sia morte di overdose. I tessuti erano stati trattati con la candeggina, e questo potrebbe alterare l’esito dei test. Inoltre la ragazza stava assumendo altri farmaci che potrebbero aver in qualche modo accresciuto l'effetto dell'eroina. Infine, Pamela era in comunità e dunque non era più assuefatta alla sostanza. Procura di Macerata e parte civile (i parenti di Pamela) sostengono che la ragazza invece non morì per overdose, ma a causa di due coltellate al fegato; secondo la difesa, invece, la vittima sarebbe stata stroncata da un'overdose e solo dopo fatta a pezzi dall'imputato.

Questo il testo completo della lettera di Oseghale

"Ho già detto in precedenza cosa è successo riguardo alla morte di Pamela quando ho parlato con i suoi familiari – ha esordito l'imputato -. Era il 30 gennaio del 2018 e un mio amico mi aveva chiamato e mi aveva chiesto di recarmi ai Giardini Diaz perché aveva bisogno di marijuana. Mentre aspettavo seduto su una panchina si è avvicinata a me una ragazza che mi ha chiesto un accendino e mi ha offerto una sigaretta che poi ho accesa. Lei mi chiese se avevo della roba e Io le dissi che avevo marijuana, ma a lei interessava l'eroina."

"Poi si è avvicinato il mio amico, gli ho dato la marijuana e Pamela mi ha implorato di aiutarla nella ricerca dell'eroina e mi ha seguito – ha continuato Oseghale-. Lei mi implorò di aiutarla e mi offrì una prestazione sessuale in cambio di un aiuto nel reperimento dell'eroina.  Poi siamo andati a Fontescodella, dove abbiamo consumato un rapporto sessuale senza protezione. Dopo ciò, io mi sono adoperato per il reperimento dell'eroina. Ho chiamano Awelima che mi ha suggerito di sentirei Desmond. Ho chiamato allora quest'ultimo che mi disse che era all'Eurobet in via Roma e di andare li. Desmond mi disse che ci potevamo trovare in via del Velini, a metà strada, e io e  Pamela ci siamo recati lì per avere la sostanza. Ci siamo incontrati, Desmond ha dato l'eroina a Pamela e lei ha dato trenta euro a Desmond.  Poi Pamela mi chiese di poter venire con me”.

"Demsond si fermò al negozio di articoli africani mentre eravamo tutti insieme, poi io e Pamela abbiamo proseguito insieme verso la mia abitazione. Mentre stavamo andando a casa ci siamo fermati al supermercato e abbiamo acquistato latte e briosche, perché non avevo nulla per la colazione del giorno dopo – ha proseguito il suo racconto l'imputato -.  Lei mi disse che voleva preparare qualcosa da mangiare e quindi abbiamo acquistato anche della pasta che lei avrebbe preparato uno volta a casa. Poi mentre andavamo verso casa lei mi chiese se avevo una siringa e io le dissi di no. Passando davanti alla farmacia, Pamela è entrata ad acquistarla mentre io l'aspettavo fuori. Uscita dalla farmacia ho visto che Pamela ha salutato qualcuno che era in un'automobile parcheggiata lì davanti" – a questo punto del racconto la madre di Pamela è uscita dall'aula, senza poi farvi rientro.

"Dopo un po' Antony mi disse di andare ai Giardini Diaz e io risposi di no perché ero con una ragazza. A quel punto io e Pamela siamo andati a casa e, una volta dentro, lei si accorse di una foto in cui era ritratta la mia famiglia e  fu felice di sapere che ero papà – ha continuato l'imputato -. Entrati nell’appartamento io ho preparato del latte e lei ha appoggiato la valigia in cucina e poi mi chiese dove era il bagno. Una volta uscita dal bagno,Pamela mi domandò se avevo un cucchiaio e io risposi di sì: a quel punto si sedette su una sedia della cucina e iniziò a preparare l'eroina. Io avevo già preparato il latte e lei mi disse che l'avrebbe preso più tardi. Dopo aver assunto eroina mi disse che aveva necessità di rilassarsi e di dormire allora le chiesi perché si stava comportando così dato che, in un primo momento, mi aveva detto che avrebbe preparato della pasta. Lei rispose che prima voleva rilassarsi e poi avrebbe cucinato la pasta. Pamela è quindi andata nella camera da letto che io condividevo con la mia famiglia, ma io non volevo dormisse lì, quindi l'ho portata nella camera degli ospiti.  A quel punto ho preso il portatile e ho messo della musica come lei mi aveva chiesto. Mentre stavo cercando di mettere la musica, ho sentito un tonfo e sono andato a vedere cosa era successo.  Lei era a terra e le fuoriusciva qualcosa dalla bocca. A quel punto l'ho presa in braccio e l'ho messa nel letto."

"Poi  ho chiamato Antony per raccontargli la vicenda e chiedergli come comportarmi. Lui mi suggerì di cospargerla con acqua per vedere se si poteva riprendere. Io seguii il consiglio e Pamela aveva ripreso a respirare – ha continuato -. Poco dopo ho ricevuto una chiamata da un mio amico che mi chiedeva della marijuana e, dato che lei sembrava star meglio, io sono uscito per consegnare l'erba al mio amico."

Una volta tornato a casa ho visto che lei non si muoveva più ed era gelida. Allora chiamai Antony per raccontargli l'accaduto e gli ho detto che la ragazza non respirava più – ha continuato Oseghale -. Lui mi disse che non ne potevamo parlare per telefono e mi disse di vederci all'Eurobet e così facemmo.

Una volta che ci siamo incontrati gli raccontai che lei non respirava, che la ragazza era fredda e che io ero in un mare di guai.

Antony mi disse che non poteva aiutarmi e che doveva andare dalla sua famiglia. Mi disse di provare ancora con l'acqua o di chiamare un'ambulanza. A quel punto ho iniziato a spaventarmi seriamente e non riuscivo a svegliarla in alcun modo. A quel punto ho pensato di uscire, di andare nel negozio cinese ad acquistare la valigia ma lei non ci entrava.  Nel frattempo la mia compagna mi chiamava continuamente e io ho iniziato ad agitarmi. A quel punto visto che il corpo non entrava in valigia,  ho pensato di farlo a pezzi e sono andato in cucina per cercare qualcosa per farla a pezzi."

"Io non avevo un'auto e l'unico modo per portarlo fuori dalla mia abitazione era di procedere al depezzamento – ha raccontato nei particolari Oseghale -. Mentre stavo facendo questo il corpo iniziava ad emanare un cattivo odore. Allora ho chiamato un tassista che conoscevo e gli ho detto di aspettarmi davanti all'abitazione in via Spalato. Prima dell'arrivo del tassista, dato che il pavimento era sporco, l’ho lavato con un sapone che avevo in casa . Il corpo è stato inserito quindi in due valigie e mentre le portavo fuori casa usciva il sangue dalle stesse valigie. Il tassista mi chiese dove volevo andare e io gli dissi a Sforzacosta. Nel frattempo la mia compagna continuava a chiamarmi ripetutamente e io gli risposi che ci saremmo sentiti più tardi perché avevo da fare. Mentre mi sono distratto al telefono con la mia compagna il tassista era arrivato oltre, quasi a Pollenza, allora io gli dissi di fermarci al primo posto utile dove poteva. Quindi io appoggiai  le valigie e il tassista mi riportò a Macerata facendomi scendere davanti al bar Nino. Ho pagato il tassista con venti euro e mi sono diretto a casa a piedi mentre il mio telefono continuava a squillare. La mia compagna mi chiese cosa stavo facendo dato che ero così impossibilitato a rispondere e a quel punto le mandai un video per farle vedere che stavo camminando verso casa."

"Abbiamo poi fatto una videochiamata e lei mi diceva che ero in compagnia di una prostituta, ma io gli dissi che ero impegnato nella mia attività di vendita della marijuana – ha continuato -.

Una volta arrivato a casa ho messo nella lavatrice le lenzuola nel letto dove Pamela era stata e dopo averle lavate le ho stese nel corridoio. Poi la mia compagna mi ha chiamato di nuovo perché non era convinta dei chiarimenti che le avevo dato e io la tranquillizzai dicendole che l’indomani sarei andato da lei."

"Davanti ai famigliari della vittima voglio dire che io non ho ucciso Pamela.  Lei è morta a casa mia, ma io non l'ho uccisa: ci tengo a dirlo ai suoi familiari. Voglio pagare per il crimine che ho commesso ma non per ciò che non ho fatto. Questo è quanto ho da dire in merito"

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