Ossa in Nunziatura, Pietro Orlandi: “Quando il Vaticano trattava sulla sorte di mia sorella Emanuela”
"Ci fu una trattativa tra la magistratura romana e il Vaticano, poi la Santa Sede si tirò indietro". Lo ricorda in queste ore mentre Pietro Orlandi, fratello della quindicenne Emanuela, scomparsa nel nulla, nel giugno del 1983 e ora tornata prepotentemente alla ribalta delle cronache dopo la scoperta di resti umani in un locale della Nunziatura Apostolica, a Roma. La ‘trattativa' se così si può definire, sarebbe avvenuta, secondo Orlandi, nel 2012 quando una segnalazione anonima portò l'attenzione sulla tomba del boss della Magliana, Renatino De Pedis, in Sant'Apollinare. Come teorizzato anche dal giornalista Gian Luigi Nuzzi nel libro, ‘Peccato originale', si tratterebbe di circa quattro incontri tra l'allora procuratore capo reggente di Roma, Giancarlo Capaldo e due monsignori incaricati dal segretario di Stato vaticano e dell'allora pontefice Benedetto XVI. In cambio di un atteggiamento ‘morbido' riguardo all'inchiesta per la tomba del boss, dalla Santa Sede avrebbero fornito informazioni sul luogo dove sarebbero stati sepolti i resti di Emanuela.
La trattativa per la tomba di De Pedis
La cosiddetta ‘trattativa' sarebbe sfumata poco dopo, senza che della sua esistenza restasse alcuna traccia se non la testimonianza di Orlandi. Da allora la famiglia di Emanuela ha continuato a chiedere di poter prendere visione del ‘dossier' che il Vaticano conserva per il caso di Emanuela. Un fascicolo, anche questo, del quale non ci sono evidenze e che conterrebbe il rapporto delle indagini svolte sul caso dalla Santa Sede. "Paoletto (il maggiordomo del Papa, Paolo Gabriele accusato di essere il ‘corvo‘ accusato di trafugare documenti dalla Santa Sede, ndr) mi disse di avere visto su una scrivania un dossier spillato con su scritto: Rapporto Emanuela Orlandi – dice Pietro a Il Messaggero – Difficile che fosse solo una raccolta di articoli di giornale, come hanno cercato di spiegare successivamente".
Gli scheletri di villa Giorgina
Mentre la famiglia di Emanuela e quella di Mirella Gregori, scomparsa da Roma 40 giorni prima, attendono con attenzione l'identificazione dei resti, continuano le speculazioni della stampa sull'identità dei due scheletri di via Po. Stavolta la pista ‘alternativa' scava nel passato dello storico edificio al civico 27, Villa Giorgina Levi, appartenuta all'industriale ebreo, Isaia Levi e da lui donata, dopo la prematura morte della figlia Giorgina, al Vaticano, nel 1949. In particolare, le indagini si sono concentrati sui vari custodi dell'edificio attiguo alla villa, avvicendatisi negli anni. In particolare, l'attenzione si è concentrata sulla scomparsa della moglie di uno dei portiere, avvenuta negli anni Sessanta. Sono suoi i resti? Ipotesi suggestiva alla quale, tuttavia, gli investigatori non hanno dato credito in quanto l'ultima ristrutturazione del locale della guardianìa, risale agli anni '80. Allora e non prima sarebbero stati sepolti sotto il pavimento nel seminterrato quelli che sembrano essere i corpi di due persone, una delle quali è probabilmente una donna molto giovane.
La pista della moglie del custode
A conferma del fatto che quelli di via Po non sono i resti della moglie del portiere, vi sarebbe la datazione delle ossa, che non hanno più di venti o trent'anni. Per la stessa ragione sembra da escludere anche l'ipotesi che le spoglie possano provenire da una delle tante necropoli emerse sotto il quartiere Pinciano. I locali ora sono sottoposti al sequestro ordinato dalla procura all'Apsa, l'Amministrazione del patrimonio della Santa Sede, in quanto sorgono su territorio italiano e la relativa acquisizione di tutta la documentazione sulla manutenzione del complesso di via Po. Che siano di Emanuela o no, per quei corpi la Procura continua a indagare per omicidio.