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“Ora ci prendiamo tutto”: fermati 35 imprenditori al servizio della ‘ndrangheta

Maxi operazione coordinata dalle Direzioni Distrettuali Antimafia di Reggio Calabria e di Catanzaro. 54 imprese finite sotto sequestro e 35 imprenditori accusati a vario titolo per reati di associazione a delinquere di tipo mafioso.
A cura di Giulio Cavalli
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Non è un'operazione antimafia quella che si è svolta questa mattina con 54 imprese finite sotto sequestro e 35 imprenditori accusati a vario titolo per reati di associazione a delinquere di tipo mafioso, frode, corruzione, rapina e estorsione: il quadro che ne emerge è quello di un'imprenditoria completamente assoggettata alla ‘ndrangheta nella cona di Reggio Calabria e Catanzaro. “Facimu na cumbertazione” si dicono al telefono intercettati gli uomini della cosca: "ci prendiamo tutto noi". E appaltatori e stazioni appaltanti eseguono gli ordini dei boss.

L'inchiesta (coordinata dalle Direzioni Distrettuali Antimafia di Reggio Calabria e di Catanzaro coordinati da  Federico Cafiero de Raho) è frutto dell'attività d'indagine del Gruppo Investigazione Criminalità Organizzata (G.I.C.O.), del Nucleo di Polizia Tributaria di Reggio Calabria e dal Nucleo PT di Cosenza. A tirare le fila, secondo le accuse, era il gruppo imprenditoriale Bagalà che avrebbe costruito la propria posizione dominante nel settore degli appalti pubblici in Calabra grazie alla vicinanza della storica cosca dei Piromalli riuscendo a tornare ("sistematicamente", secondo i magistrati) ben 27 gare tra cui quelle affidate dai comuni di Gioia Tauro (RC), Rosarno (RC), Cosoleto (RC),  e dalla la Provincia di Reggio Calabria per un giro d'affare tra il 2012 e 2015 di quasi per giro d'affari di circa 90 milioni di euro.

Il sistema (oliato da alcuni funzionari pubblici corrotti) consisteva nella creazione di un cartello di 54 imprese che avrebbero presentato offerte concordate per spartirsi i lavori del territorio. Insieme ai Bagalà (in particolare i fratelli Giuseppe e Luigi con i rispettivi figli) spiccano i ruoli di un ingegnere anch'egli vicino ai Piromalli e degli imprenditori (come sede in Calabria, nel Lazio, in Sicilia, in Campania, in Toscana) che presentavano offerte secondo le indicazioni della cosca mafiosa ricevendo in cambio una percentuale che variava dal 2,5% al 5%. La cosca, da parte sua, incassava la rituale "tassa ambientale" (ovvero un racket del 3% sul valore dei lavori) ed è riuscita a consolidare il proprio dominio territoriale e saldare vecchie alleanze (come quella con i Muto dell'alto tirreno cosentino e Lanzino-Ruà di Cosenza).

Tra le opere pubbliche interessate ci sono i lavori di rifacimento sul lungo mare di Gioia Tauro e lavori riguardanti l'A3 Salerno Reggio Calabria per lo svincolo di Rosarno.  "Si sono aggiudicati appalti nei settori più diversi e con la copertura delle società più diverse. Si tratta in larga parte di imprese calabresi, ma ci sono anche importanti realtà del centro-nord Italia" ha dichiarato il procuratore capo di Reggio Calabria, Federico Cafiero de Raho. Tra gli arrestati spunta anche Angelina Corsanto, la moglie di del boss di Franco Muto che, dopo l'arresto del marito a luglio, ha preso in mano le redini dell'organizzazione criminale.

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