Anche i decessi da Covid-19 sembrano aver toccato il loro massimo. Avevamo annunciato nella nostra precedente analisi l’imminente picco anche per i morti, dopo quello già superato per i nuovi casi positivi prima e per gli ingressi in terapia intensiva (TI) poi. E in effetti negli ultimi sette giorni i deceduti in Italia sono stati 2600, gli stessi della settimana precedente, con la media mobile settimanale che ha toccato il suo massimo il 30 gennaio (Grafico 1).
Intanto aumenta la velocità con cui diminuiscono gli altri parametri: -28% di nuovi casi positivi settimanali, con l’indice Rt che si abbassa a 0,9 secondo i dati più aggiornati della piattaforma Covidtrends; -11% i posti letto occupati in TI (Grafici 2 e 3).
La velocità di decrescita dei contagi
Per avere un’idea precisa della velocità di crescita e decrescita dei casi nel corso della pandemia in Italia, abbiamo analizzato l’incremento medio settimanale dal lockdown del 2020 ad oggi (i dati di febbraio- marzo 2020 li abbiamo eliminati perché non affidabili). Come si vede dal Grafico 4, l’ondata di Omicron cominciata a inizio dicembre 2021 ha generato la velocità di crescita maggiore, con un incremento settimanale superiore a 2,5 (ovvero in sette giorni i casi sono più che raddoppiati). Anche l’attuale decrescita dei casi è molto ripida, paragonabile a quella post lockdown 2020, ma con una differenza significativa: allora stavamo barricati in casa, oggi siamo liberi di fare praticamente tutto.
Spiegare la velocità di salita è facile: ormai sappiamo che Omicron è una variante contagiosissima, paragonabile al morbillo per velocità di diffusione, ma per fortuna molto meno letale. Spiegare la velocità di decrescita, già vista in altri Paesi come Sud Africa e UK dove Omicron si è diffusa prima che da noi, è invece più complicato e richiede l’analisi di diversi fattori che interagiscono tra loro.
Perché i casi scendono così rapidamente
Possiamo dire con certezza che le misure di contenimento, questa volta, hanno giocato un ruolo molto marginale. L’utilizzo delle mascherine nei luoghi chiusi continua ad essere fondamentale e certamente sta aiutando molto, ma per il resto non si sono viste in quest’ultima ondata restrizioni importanti, se non per i non vaccinati. Il Green Pass è infatti la grande novità degli ultimi mesi di pandemia, misura che via via si è rafforzata portando a una netta separazione tra le libertà di un vaccinato e quelle di un non vaccinato. Qui non entriamo nel merito del dibattito pro o contro il Green Pass, ma ci limitiamo a sottolineare quanto dice l’ultimo report dell’Istituto Superiore di Sanità: “L’efficacia del vaccino (riduzione percentuale del rischio rispetto ai non vaccinati) nel prevenire la diagnosi di infezione da SARS-CoV-2 è pari al 64% entro 90 giorni dal completamento del ciclo vaccinale, 51% tra i 91 e 120 giorni, e 36% oltre 120 giorni dal completamento del ciclo vaccinale; pari al 68% nei soggetti vaccinati con dose aggiuntiva/booster”.
I dati parlano chiaro: nonostante l’efficacia dei vaccini nel prevenire l’infezione non sia così alta come quella nel prevenire la malattia, comunque un non vaccinato ha il 68% di probabilità in più di contrarre il virus rispetto a un vaccinato con dose booster. Non c’è dubbio quindi che aver ridotto la possibilità di incontro tra vaccinati e non nei luoghi più a rischio attraverso il Green Pass, in termini statistici abbia ridotto notevolmente la probabilità di diffusione del virus, e questo è un altro fattore che in parte ha contribuito al contenimento. Fattore importante, ma forse non decisivo.
Il fattore decisivo è probabilmente proprio Omicron con la sua enorme diffusività, che unita all’immunità prodotta dai vaccini ha permesso di avvicinarsi in poco tempo alla tanto invocata immunità di gregge. Questo sembra essere accaduto anche nel continente africano, dove la percentuale di vaccinati è bassissima (tra l’1% e il 50% a seconda dei Paesi, con la maggior parte che stanno sotto il 20%) e dove l’età media è notevolmente più bassa rispetto ai Paesi occidentali. In Italia, dove secondo i dati ufficiali oltre 6 milioni di persone hanno contratto il virus dal 1° dicembre a oggi (ma sappiamo essere molte di più), si stima una percentuale di popolazione immunizzata superiore all’85%, dato che non può che ridurre notevolmente la propagazione del Sars-CoV-2.
L’andamento dei casi per fasce d’età
È interessante analizzare nel dettaglio l’incidenza dei nuovi casi settimanali suddivisi per fasce d’età.
Dal Grafico 5 si vede come tutte le linee sono in discesa più o meno marcata, tranne quella dei bambini da zero a nove anni, che continua a salire. Come si spiega? Non possiamo che rimanere nel campo delle ipotesi ma gli indizi portano tutti verso un’unica direzione: si tratta della fascia d’età meno vaccinata e quindi meno protetta dalla possibilità di contagio. Anche in questo caso però si stanno facendo veloci passi in avanti e il vaccino anti-Covid per la fascia 0-5 anni potrebbe arrivare in primavera. A dirlo è il coordinatore del Comitato tecnico scientifico Franco Locatelli a Sky Tg24, sottolineando che anche in questo caso saranno previste due dosi e ci sarà un dosaggio "ulteriormente ridotto" rispetto a quello che viene proposto per i bambini tra i 5 e gli 11 anni. "Direi che potrebbe essere ragionevole – ha detto rispondendo ad una domanda – ipotizzare l'orizzonte dell'inizio della primavera per avere questi vaccini a disposizione, dopo che le agenzie regolatorie avranno dato il via libera".
In collaborazione con Francesco Luchetta