La nuova ondata di contagi rallenta e si appresta a raggiungere il picco; eppure, l’allarme mediatico aumenta. Un film già visto che va avanti ormai da oltre due anni, dovuto a mio modo di vedere a due fattori principali.
Il primo riguarda il ritardo con cui l’Istituto Superiore di Sanità (Iss) emana il suo bollettino, che a sua volta analizza dati vecchi di due settimane. Per intenderci: l’ultimo bollettino Iss è del 1 luglio 2022 e analizza i dati epidemiologici raccolti tra il 20 e il 26 giugno. Questo significa che oggi che stiamo scrivendo (7 luglio 2022), se guardassimo al bollettino Iss staremmo raccontando la fase epidemica di tre settimane fa. Un ritardo notevole, soprattutto se pensiamo che l’ondata di Omicron 5 in Portogallo ci ha messo solo quattro settimane prima di raggiungere il picco, come ho raccontato nella mia precedente analisi per Fanpage.
Il secondo motivo riguarda invece la poca attitudine nel leggere e analizzare i dati che caratterizza tanti commentatori del covid su giornali e tv. Io e altri fisici (Giorgio Parisi e Roberto Battiston, con cui spesso collaboriamo e ci confrontiamo, solo per citarne un paio) che da oltre due anni ci dedichiamo all’analisi e alla divulgazione dei dati epidemiologici, siamo spesso stati criticati perché non siamo né medici, né virologi e né immunologhi, e dunque non avremmo il diritto di parlare di una pandemia. Il fatto è che noi fisici non azzardiamo mai analisi o diagnosi cliniche, che spettano ai medici; studi sul virus e le sue mutazioni, che spettano ai virologi; o sugli effetti del virus sui nostri organi e sul sistema immunitario, che spettano agli immunologi. Noi ci occupiamo di dati, della loro analisi, interpretazione e rappresentazione, affinché possano essere compresi al meglio, anche da chi non ha molta dimestichezza con essi. C’è chi forse si sente di affermare che i fisici non abbiano dimestichezza con i dati? Spero di no.
Allo stesso tempo però, nessuno dice nulla quando sono gli stessi virologi che tentano di fare analisi e previsioni sull’evoluzione della pandemia, spesso sbagliando. A beneficio della memoria storica di tutti, vorrei ricordare l’agosto del 2020, quando noi analisti di dati Covid lanciavamo l’allarme dei contagi che stavano risalendo (anche se si trattava solo di poche centinaia di casi al giorno, noi avevamo individuato una tendenza, che è proprio il lavoro di chi fa analisi dati) mentre illustri medici e virologi dichiaravano il virus “clinicamente morto”. Ecco, quanto sta avvenendo in questi giorni è molto simile a quanto accaduto all’epoca. Nelle settimane precedenti – vi ricorderete – il dibattito mediatico è stato monopolizzato da due opposte fazioni: nella prima c’era chi sosteneva con veemenza che il covid ormai è una semplice influenza e che quindi ogni misura di contenimento o prevenzione non fosse più necessaria; nella seconda fazione c’era chi invece, con cautela, equilibrio e senza allarmismi, spiegava che, dati alla mano, il Covid non è affatto come una normale influenza.
Tra i sostenitori della prima fazione c’era chi, ad esempio, appena tre settimane fa dichiarava su tutti i giornali “non chiamatelo più Covid, ormai è una normale influenza”. Lo stesso che oggi, quando i contagi stanno risalendo alle stelle e gli ospedali si stanno di nuovo riempiendo, per l’ennesima volta ritratta la sua affermazione e dice che “senza la quarta dose saranno guai seri per tutti”.
Anche in questo caso l’errore sta, prima, nel non saper leggere con tempismo i segnali di forte ripresa di un’epidemia, anche quando i numeri sono ancora limitati; poi, nel non rendersi conto che, anche se il virus si è indebolito, un numero così alto di contagi porta inevitabilmente a una forte crescita dei ricoveri e dei decessi, anche se Omicron 5 è per nostra fortuna meno letale delle primissime varianti del Sars-CoV-2; infine, nel non saper minimamente padroneggiare i principi della comunicazione del rischio, che invece dovrebbe aiutare a dare sempre messaggi coerenti ed equilibrati alla popolazione.
Ma quindi, come stanno veramente le cose? A che punto siamo della nuova ondata di Omicron 5? Gli ospedali reggeranno l’urto? E la quarta dose di vaccino sarà necessaria e soprattutto per chi?
Ecco, in questo articolo proveremo a mettere un po’ d’ordine in questo marasma mediatico e a rispondere, con equilibrio e rigore scientifico, a queste domande. Analizzando, come sempre, i dati e gli studi scientifici che abbiamo a disposizione.
Il punto sulla nuova ondata di Omicron 5
Nell’ultima settimana i contagi hanno continuato a registrare una crescita ma con un ritmo inferiore rispetto alla settimana precedente. In particolare, negli ultimi sette giorni l’aumento dei casi in Italia è stato del 14% rispetto alla settimana precedente, che a sua volta segnava un +50% rispetto a quella ancora precedente. Ci stiamo dunque avvicinando al picco? La risposta è molto probabilmente si, e forse lo raggiungeremo nel corso della prossima settimana.
Conferma di quanto appena detto arriva anche dal Covindex, algoritmo che da oltre due anni riproduce perfettamente il parametro Rt ma che rispetto ad esso è più aggiornato. Dopo aver toccato un picco massimo a 1,5 il 18 giugno, il Covindex in questo momento si attesta a 1,3 e il trend è in discesa, segno che la fase espansiva dell’epidemia è ancora in corso ma sta rallentando. Attenzione però, vi anticipiamo un dato: per i motivi spiegati sopra, nel prossimo bollettino che emanerà l’Iss ci sarà scritto che Rt è in crescita e che l’epidemia sta accelerando. Il motivo, lo ripetiamo, è che l’Iss vi parlerà dell’epidemia di metà giugno mentre noi vi stiamo raccontando quella di adesso. Prepariamoci, quindi, all’ennesimo clamore mediatico e a una confusione crescente tra le persone, a causa degli stessi identici errori che vanno avanti dall’inizio di questa pandemia.
Per concludere l’analisi sull’attuale fase epidemiologica in Italia, il dato degli ospedalizzati e dei ricoverati in terapia intensiva, entrambi al +31% rispetto alla settimana scorsa, e dei morti, +18%. Numeri in crescita ma che avevamo ampiamente previsto e spieghiamo ancora una volta il perché: il numero dei ricoverati segue il trend dei contagi a distanza di 7-15 giorni, mentre i decessi seguono i contagi a distanza di 15-21 giorni. Ecco perché vedremo continuare a crescere ricoveri e decessi ancora per qualche settimana, anche dopo il raggiungimento del picco. Lo sappiamo, lo abbiamo imparato grazie a oltre due anni di analisi della pandemia, impegniamoci tutti a comunicare bene questo dato, è un dovere nei confronti delle persone.
Gli ospedali reggeranno l’urto di questa nuova ondata?
La risposta è sì, gli ospedali reggeranno l’urto, seppur con qualche sofferenza, soprattutto nelle zone con meno posti letto a disposizione rispetto al numero di abitanti. Anche in questo caso la risposta ci arriva dai dati. Se guardiamo al Grafico 1, la nuova ondata di Omicron 5 ha già superato in Portogallo il picco di pazienti ricoverati in terapia intensiva, picco che ha registrato un valore massimo inferiore di circa il 30% rispetto al precedente picco di pazienti ricoverati durante la precedente ondata invernale. La crescita dei pazienti ricoverati in Italia purtroppo è appena iniziata ma, come si vede dal grafico, siamo ben lontani dai valori di gennaio che comunque erano entro i limiti di salvaguardia nella maggior parte delle Regioni italiane. Possiamo ipotizzare quindi, con buona probabilità ma senza averne certezza, che l’Italia seguirà per i ricoveri un andamento simile a quello portoghese, con i numeri che saliranno ancora per un po’ ma senza raggiungere il precedente picco invernale.
Tutto tranquillo, dunque? Non proprio. Una maggiore pressione ospedaliera dovuta a pazienti Covid porta inevitabilmente ai cosiddetti effetti collaterali del Covid, ovvero alla riduzione e al rinvio di altre prestazioni ospedaliere, con effetti negativi sulla cura delle persone. Questo fatto è amplificato poi dal grande numero di medici e infermieri che al momento non sono operativi perché in quarantena, con evidente difficoltà di reparti e pronto soccorso di molti ospedali italiani nel riuscire a soddisfare le cure richieste.
Quarta dose per tutti, sì o no?
Un primo dato molto preoccupante: la campagna vaccinale per la somministrazione della quarta dose agli over 80 e agli immunocompromessi, almeno per il momento, registra un enorme fallimento. Solo il 29% si è infatti vaccinato, percentuale che con molta probabilità non subirà variazioni significative nel corso dell’estate. Quali sono i motivi di un tale fallimento? Le persone sono stanche di doversi fare un vaccino ogni 4-6 mesi? È comprensibile. La comunicazione ha fallito, determinando una percezione del rischio distorta tra chi, invece, del Covid dovrebbe ancora preoccuparsi? Probabile. Le campagne di disinformazione sulla presunta inefficacia dei vaccini hanno raggiunto anche la parte di popolazione che proprio dei vaccini avrebbe più bisogno? Sembra proprio di sì.
Anche in questo caso, proviamo a mettere un po’ d’ordine a questo marasma mediatico.
I vaccini funzionano: moltissimo contro il rischio grave di malattia, anche contro Omicron, e questa è la cosa più importante; meno bene contro il rischio di infezione, ma comunque hanno una buona soglia di protezione. Di tutto questo abbiamo parlato in vari precedenti articoli tra cui questo.
Ad aprile, nell’analizzare la riduzione dell’efficacia della terza dose di vaccino in funzione del tempo, provavamo a rispondere alla fatidica domanda: quando fare la quarta dose? Ecco qual era allora la nostra risposta: “Stabilire all’80% di efficacia della terza dose la soglia per somministrare la quarta, significa effettuarla a distanza di 5 o 6 mesi dalla terza. Se invece si decidesse di ‘tirare dritti' fino al 70% di efficacia, questo implicherebbe un rischio di ospedalizzazione del 50% superiore, e la somministrazione della quarta dose a circa 8 mesi e mezzo dalla terza”.
Se adesso guardiamo al Grafico 2 elaborato da covidtrends.com, capiamo bene come la maggior parte delle terze dosi di vaccino siano state effettuate tra dicembre 2021 e febbraio 2022, ovvero tra i 6 e gli 8 mesi fa. Siamo quindi nel secondo scenario che Francesco Luchetta ed io ipotizzavamo nel nostro articolo di aprile: attualmente l’efficacia della terza dose dei vaccini è scesa intorno al 70%; questo comporta un rischio di ospedalizzazione di circa il 50% superiore rispetto all’efficacia iniziale del vaccino appena somministrato; la quarta dose è quindi molto importante e va somministrata subito, non solo agli over 80 e agli immunocompromessi ma almeno a tutta la platea degli over 60. Sono i dati a dircelo.
Per questo, a nostro modo di vedere, è urgente rivedere la circolare del Ministero della Salute che stabilisce che la quarta dose è raccomandata a persone che abbiano superato o compiuto 80 anni, agli ospiti delle Rsa (residenze sanitarie assistite) e a coloro che sono stati inseriti nelle categorie a rischio con un'età compresa tra 60 e 79 anni. Ci sembra piuttosto opportuno estendere la quarta dose a una larga parte della popolazione, per riportare l’efficacia contro i casi di ospedalizzazione a livelli sufficientemente alti, come abbiamo appena spiegato attraverso i dati.
Concludiamo col dire che non è troppo tardi per fare la quarta dose, anche se stiamo partendo per le vacanze. La massima efficacia della quarta dose si raggiunge in pochi giorni e questo ci garantisce un’elevata protezione nel corso di tutta l’estate e nei mesi successivi, quando i contagi si assesteranno comunque su livelli molto alti. Serve agire in fretta: da parte del Ministero in primis, e poi spetta a noi.