L’omicidio di Yara Gambirasio avvenuto il 26 novembre 2010 ha da sempre diviso l’opinione pubblica tra innocentisti e colpevolisti. Oggi, dopo l’uscita della serie Netflix che ripercorre il caso, dando ampio spazio alla difesa di Massimo Bossetti, condannato all’ergastolo con sentenza definitiva per quell’omicidio, molti sono coloro che avanzano dubbi sullo svolgimento delle indagini e sui passaggi che hanno portato all’identificazione del colpevole.
Parte centrale dell’impianto accusatorio risulta essere infatti l’estrapolazione di tracce di DNA di un soggetto maschile sul corpo di Yara, DNA attribuito poi, in una fase successiva a Massimo Giuseppe Bossetti. Numerose sono state le contestazioni avanzate dalla difesa in sede processuale e riproposte nella serie, anche sulla validità della prova e sulle modalità che hanno portato alla corrispondenza tra IGNOTO1 e Bossetti.
Ma è legittimo avere davvero così tanti dubbi? Cerchiamo di comprenderlo ripercorrendo, carte alla mano, quelli che sono stati i passaggi significativi che hanno che hanno portato all’individuazione del colpevole.
Dopo il ritrovamento del corpo della piccola Yara Gambirasio, avvenuto a tre mesi dalla sua scomparsa, gli esperti nominati dalla Procura iniziano ad esaminarlo per cercare elementi che possano esser utili per identificare il suo assassino. Dagli slip e dai leggins che la ragazzina indossava il giorno in cui è stata uccisa, rispettivamente reperto 31 e reperto 32, vengono prelevati dei campioni di DNA maschile, non appartenente ad alcun soggetto noto e pertanto denominato IGNOTO 1.
Quel profilo genetico maschile viene rinvenuto anche in tracce miste, tracce cioè in cui il DNA del soggetto sconosciuto è insieme al DNA della vittima. Sebbene sul corpo e gli indumenti di Yara siano state rinvenute tracce di DNA differenti, tra i quali quello di un’istruttrice della palestra che la ragazzina frequentava (rinvenuto sul polsino del giubbetto che Yara indossava), il collocamento delle tracce di IGNOTO1 e il fatto che appartenente a un soggetto non conosciuto dalla vittima, che quindi non avrebbe dovuto avere motivi di entrarvi in contatto, hanno fatto sì che l’attenzione degli inquirenti si concentrasse particolarmente su quelle tracce.
Quel profilo genetico, come da prassi, veniva messo a confronto con i profili contenuti nelle banche dati e con i campioni salivari prelevati in fase di indagine, senza però fornire alcun riscontro positivo. Nel tentativo di poter orientare le indagini si è cercato di ottenere informazioni genotipiche e genetiche, facendo riferimento a studi sperimentali compiuti negli Stati Uniti, restringendo l’area di riferimento. Da questo tipo di attività emergeva così la probabilità del 94, 5% che il profilo di IGNOTO1 appartenesse ad un soggetto con gli occhi chiari (azzurro, verde, grigio).
Inoltre, partendo dal rinvenimento di particelle di ossido di calcio sui resti di Yara, venivano identificati 777 dipendenti delle ditte di Chignolo D’Isola ed acquisiti i nominativi dei frequentatori della discoteca Le sabbie mobili, che si trova in prossimità del campo in cui è stato rinvenuto il corpo, oltre al prelievo salivare che veniva effettuato ai frequentatori del Centro Sportivo di Brembate (frequentato da Yara), a coloro che risultavano agganciati alle celle telefoniche di interesse, ai familiari della ragazzina, ai vicini, ai compagni di scuola ed ai loro genitori, senza ottenere alcun esito positivo.
Fino al luglio del 2011 quando dal campione salivare di Damiano Guerinoni, un ragazzo che frequentava la discoteca Le sabbie mobili, che però al momento dell’omicidio si trovava in Perù, veniva estrapolato un profilo genetico il cui aplotipo Y era simile a quello di Ignoto. Venivano quindi eseguite indagini genetiche su tutta la famiglia di Damiano Guerinoni, che venne sottoposta anche ad intercettazioni fatta eccezione per il padre Sergio che era deceduto nel 2003.
Dal momento che l’aplotipo Y resta invariato e si trasmette di generazione in generazione per linea maschile, si risaliva al capostipite Battista Guerinoni, ricostruendo l’intera discendenza. A questo punto, tutti i familiari maschi ancora in vita venivano sottoposti a prelievo salivare e si arrivava così a Pierpaolo Guerinoni che presentava un DNA nucleare quasi identico a quello di IGNOTO1.
Pierpaolo era figlio di Giuseppe Benedetto Guerinoni, un uomo deceduto nel 1999.
Veniva svolta un’attività di indagine su Pierpaolo senza che emergessero elementi utili ai fini investigativi. Il suo DNA inoltre era molto simile ma non identico a quello di IGNOTO1. A questo punto l’unica spiegazione possibile era che Giuseppe Benedetto avesse anche un altro figlio maschio: un figlio illegittimo.
Attraverso una consulenza del Prof. Giardina fu possibile stabilire che Giuseppe Benedetto fosse il padre di IGNOTO1 con una probabilità del 99,87%. Il DNA di Guerinoni venne estratto da alcuni francobolli e marche da bollo che l’uomo aveva apposto leccando la parte posteriore, percentuale salita al 99, 99999987% dopo la riesumazione della salma, accertando che Giuseppe Guerinoni fosse sicuramente il padre biologico di IGNOTO1.
Ma se IGNOTO1 era figlio illegittimo di Guerinoni, era fondamentale a questo punto stabilire chi fosse la madre.
Pertanto l’attività di indagine si concentrò sull’individuazione della madre di IGNOTO1, ponendo l’attenzione sulle coetanee dell’uomo che avevano vissuto negli stessi luoghi in cui il Guerinoni aveva vissuto o lavorato. In un primo momento il confronto era avvenuto su DNA mitocondriale e aveva portato ad un riscontro con Ester Arzuffi, una donna che per circa tre anni aveva vissuto a Parre, lo stesso paese di Guerinoni, per poi trasferirsi a Brembate Sopra.
Il campione salivare di Ester Arzuffi (acquisito nel luglio 2012) veniva confrontato però, in un primo momento con un profilo mitocondriale non appartenente ad IGNOTO1 ma a Yara Gambirasio. Il Prof. Previder si accorgeva dell’errore che era stato fatto fino a quel momento e notava per altro che il profilo di IGNOTO1 conteneva un allele (il 26) di sicura origine materna, non essendo stato rinvenuto nel DNA di Guerinoni. A questo punto il Prof. Prevideè andava a ricercare, tra i profili delle potenziali madri di IGNOTO1, chi tra loro possedesse quell’allele e rilevava che era riscontrabile solo nel profilo genetico di Ester Arzuffi e di sua sorella Simona.
“Il DNA nucleare di Ester Arzuffi era la metà mancante rispetto a Giuseppe Benedetto Guerinoni del profilo di Ignoto 1”, si legge nelle motivazioni della sentenza di Appello. Ovviamente a questo punto le attenzioni investigative si focalizzavano sui due figli maschi della donna, in particolare su Massimo Giuseppe Bossetti perché nato, rispetto al fratello, in un periodo più vicino dal trasferimento della madre da Parre a Brembate.
Massimo Bossetti veniva fermato a bordo della sua automobile a giugno del 2014, per quello che sembrerebbe un normale controllo di routine, nel corso del quale gli veniva richiesto di sottoporsi all’alcool test. Da quel boccaglio in cui Bossetti aveva soffiato, veniva prelevato un campione di DNA che restituiva lo stesso profilo di IGNOTO1.
È di Massimo Giuseppe Bossetti, quindi, il DNA rinvenuto sugli slip e sui leggins indossati da Yara quando veniva uccisa, in prossimità di un taglio a forma di J presente sul gluteo della ragazzina. La sua individuazione ed identificazione è stata frutto di un’attività che ha unito competenze forensi e ragionamento investigativo.
Il suo DNA, rinvenuto, anche in tracce miste, su punti così significativi da un punto di vista criminodinamico, ha rappresentato per l’accusa e per i giudici che lo hanno successivamente ritenuto colpevole dell’omicidio di Yara Gambirasio la parte centrale di un importante complesso accusatorio che ha preso in esame molti altri elementi come il movente, l’alibi e gli spostamenti di Bossetti in quella giornata.