Omicidio Saman Abbas, Procura fa ricorso contro sentenza di primo grado: “Parteciparono anche i cugini”
La Procura di Reggio Emilia ha presentato ricorso in Appello contro la sentenza di primo grado per l'omicidio di Saman Abbas, la 18enne pakistana uccisa il primo maggio 2021 e sepolta in una fossa dentro un rudere a pochi passi dalla sua casa di Novellara.
Con l'atto depositato alla Corte di appello di Bologna, in particolare, sono state impugnate le assoluzioni dei due cugini della 18enne, Nomanhulaq Nomanhulaq e Ikram Ijaz ed è stata ribadita la sussistenza delle aggravanti di premeditazione e futili motivi.
Secondo il procuratore Emilia Gaetano Paci e la pubblico ministero Maria Rita Pantani, infatti, l'omicidio della giovane sarebbe stato organizzato, concordato tra tutti i familiari, comunicato anche ai parenti che vivevano all'estero sin dai primi giorni del rientro a casa di Saman e rafforzato dopo la scoperta della sua relazione con il fidanzato Saqib e della sua intenzione di fuggire.
In primo grado la Corte di assise ha condannato all'ergastolo i genitori Shabbar Abbas e Nazia Shaheen (recentemente arrestata in Pakistan, ha dato il consenso all'estradizione in Italia) e a 14 anni lo zio Danish Hasnain, l'unico a rispondere anche di soppressione di cadavere, reato che invece, secondo la Procura, riguarderebbe tutti i familiari.
Nell'impugnazione la Procura reggiana ha chiesto di ascoltare di nuovo alcuni testimoni, offrendo ai giudici di appello una serie di fotogrammi in sequenza per mappare nuovamente i movimenti intorno alla casa di Novellara. Per esempio, oltre al video del 29 aprile, in cui si vedono i due cugini e lo zio con attrezzi in mano, se ne aggiunge uno successivo dove Nomanhulaq impugna un piccone, strumento per scavare il terreno compatto, il che rafforzerebbe per l'accusa l'idea che la buca in cui venne ritrovato il corpo della 18enne sarebbe stata scavata dai tre.
Secondo la Corte, invece, i tre sarebbero andati a fare un'attività agricola. Un altro passaggio importante è dedicato al fratello della vittima, all'epoca minorenne, testimone chiave della Procura ma demolito nella sentenza dell'assise come inattendibile. I pm insistono ribattendo che la sua posizione doveva essere quella di "testimone vulnerabile" e non certo quella di una persona potenzialmente indagabile.