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Omicidio di Nada Cella

Omicidio Nada Cella, tutti gli indizi che portano a Annalucia Cecere

Caso Nada Cella: il bottone, le telefonate anonime, le impronte di sangue sul muro del palazzo, il Dna. Tutti gli elementi che inchioderebbero Annalucia Cecere.
A cura di Anna Vagli
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L'omicidio di Nada Cella mostra per l’ennesima volta come i delitti perfetti possano esistere soltanto nelle serie televisive. Nella realtà, al massimo, i crimini restano impuniti.

Dopo 25 anni, l’assassino della segretaria di Chiavari, potrebbe però avere un volto e un nome. Un volto e un nome che nel registro degli indagati corrispondono ad Annalucia Cecere. Torniamo dunque da dove tutto è iniziato. Sulla scena del crimine.

Chi è Annalucia Cecere

Annalucia Cecere, 28 anni all’epoca dei fatti, abitava in corso Dante 57. Per l’esattezza, la sua abitazione era distante soltanto 90 passi dallo studio del commercialista Marco Soracco, sito in via Marsala 11. Annalucia era un’amica del datore di lavoro di Nada. Forse quest’ultimo più di un amico, almeno per lei.  E proprio per questo motivo, Nada, di solo qualche anno più piccola, era diventata troppo scomoda.

Annalucia Cecere in una foto degli anni '90
Annalucia Cecere in una foto degli anni '90

Il movente

Secondo quanto raccontato agli inquirenti 7 giorni dopo l’omicidio da una testimone che ha voluto garanzia dell’anonimato, la Cecere avrebbe conosciuto Marco Soracco nella discoteca Dolce Vita di Chiavari.

Da quel momento si sarebbe completamente invaghita del coetaneo. Al punto da chiedergli di sposarlo.

Per la Cecere, che aveva origini umili, affiancarsi a un nome come quello del commercialista, avrebbe costituito un vero e proprio ascensore sociale. La donna, difatti, non solo avrebbe voluto diventare sua moglie ma anche entrare a far parte del suo team di lavoro. Magari proprio prendendo il posto di Nada.

Sempre secondo quanto raccontato dalla teste, Annalucia le avrebbe confessato di aver in più occasioni incontrato Nada e che questa avrebbe assunto un atteggiamento ostile nei suoi confronti.

Secondo quanto è emerso, dunque, appare lampante come la donna percepisse Nada come una minaccia per il suo obiettivo: sposare Marco Soracco e prendere il suo posto sul lavoro.

Le sorelle Bacchioni e l’invidia di Annalucia Cecere

Nada aveva spesso confidato a parenti e amici che Marisa e Fausta Bacchioni, rispettivamente madre e zia di Soracco, avevano più volte cercato di indagare sulla sua vita sentimentale: volevano capire se avesse un fidanzato.

In particolare, come riferito alle amiche Antonia Bosi e Sabrina Mariani, le due donne si recavano spesso in ufficio da Nada. Il loro intento era chiaro: volevano che il rapporto tra quest’ultima e Marco assumesse connotati sentimentali. A tale scopo, tessevano continuamente lodi del nipote e lo descrivevano come un ragazzo semplice.

Addirittura, qualche settimana prima dell’omicidio, Nada aveva ricevuto a casa un mazzo di fiori con un biglietto anonimo: “Per un prossimo o eventuale invito a cena”.

In quell’occasione, la ragazza aveva confidato alla madre i suoi sospetti: a suo avviso quell’omaggio floreale proveniva dalla zia del commercialista.

La sua convinzione diventò presto certezza perché, secondo quanto confidato all’amica Deborah Pagliughi, Fausta iniziò a presentarsi sempre più frequentemente in studio portandole regali e sottolineando come Nada rappresentasse la donna ideale per il nipote.

Stando così le cose, è molto probabile che la Cecere invidiasse Nada per essere la prescelta delle sorelle Bacchioni.

Il bottone sulla scena del crimine

Il bottone è sicuramente la principale prova contro Annalucia. Repertato sulla scena del crimine e intriso del sangue di Nada, fin da subito è entrato nell’occhio del ciclone.

Cinque bottoni analoghi furono sequestrati a casa della Cecere. In bronzo, con una stella a cinque punte disegnata, un cerchio e la scritta “great seal of the State of Oklahoma 1907”.

Il bottone rinvenuto sulla scena del crimine, però, aveva un pezzo mancante sul bordo: un cerchietto di plastica.

Gli inquirenti, all’epoca, scoprirono che quei bottoni erano stati sottratti dalla giacca dell’ex fidanzato di Annalucia. Ma l’attività di comparazione venne condotta soltanto attraverso un confronto fotografico senza nessun accertamento di matrice tecnica. Fino al 2011 quando in laboratorio venne constatata l’indeterminatezza della campionatura di DNA e quindi la relativa non comparabilità.

L’aggressione fatale a Nada in 15 minuti

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Non è dato sapere con certezza l’orario di arrivo di Nada in ufficio. Difatti, nonostante nel condominio ci fosse un continuo entrare e uscire di persone tra le 7.10 e le 9.20, nessuno vide entrare Nada.

Non è certo neppure l’orario in cui arrivi in ufficio Soracco. Lo stesso, in proposito, darà infatti tre versioni contrastanti: nell’immediatezza dirà di essere entrato alle 9.05, a sommarie informazioni, nella tarda serata del 6 maggio 1996, dichiarerà di essere sceso alle 9.10, mentre durante l’interrogatorio del 13 maggio riferirà di essere giunto in studio intorno alle 9.12.

Gli unici riscontri certi, risultanti dai tabulati, sono quello delle 9.16 – quando la madre di Marco avverte la sorella dell’aggressione a Nada – e quello delle 9.20 con l’arrivo dei soccorritori sulla scena del crimine.

L’orario dell’omicidio

Un’unica certezza. L’orario scelto dall’assassino per perpetrare il crimine è anomalo. Anomalo per il rischio elevato a cui si è sottoposto: quello di essere scoperto da chi abitava nel palazzo o lo frequentava abitualmente.

Di certo, se si fosse trattato di un estraneo, qualcuno lo avrebbe notato. Ma se invece fosse stato un volto conosciuto? Sicuramente nessuno avrebbe notato alcunché di anomalo nella sua presenza nel condominio quella mattina.

La donna delle pulizie dello stabile ha parlato di un’impronta insanguinata di un dito sul marmo vicino alla porta d’ingresso in direzione Corso Dante. Proprio dove abitava la Cecere. Residente in Corso Dante 57.

Un omicidio d’impeto

È verosimile ritenere che chi ha ucciso Nada non avesse premeditato di farlo. Ce lo racconta la scena del crimine.

Non essendoci segni di effrazione sulla porta d’ingresso, le ipotesi sono due. O Nada ha aperto al suo assassino o quest’ultimo aveva le chiavi.

Sappiamo che quella mattina la Sig.ra Vaio, cliente dello studio, chiama quattro volte tra le 8.45 e le 9.20.

Alla seconda e alla terza chiamata, quando Nada è già con il suo aggressore, risponde una voce femminile che liquida malamente la cliente dicendole di aver sbagliato numero. La Sig.ra Vaio, però, certa di comporre il numero giusto, tenta una quarta volta. All’ultima telefonata risponde Soracco che la invita a chiamare in un momento diverso. I tabulati telefonici non sono mai stati acquisiti dagli inquirenti.

Dunque, se chi rispose alle chiamate, era l’assassino, sicuramente era impreparato. Impreparato al punto da rischiare di essere riconosciuto da Nada poco prima di spirare. Non dimentichiamoci, infatti, che quando ha lasciato la scena, Nada era ancora in vita.

Verosimilmente si è trattato quindi di un delitto d’impeto, frutto di una lite sfociata in un’aggressione fatale.

Aggressione perpetrata con un corpo contundente sottratto proprio dallo studio. Anche se Soracco e la madre hanno sempre affermato che non mancasse niente. Ma questo dato vacilla, dal momento che oggi entrambi risultano indagati per false informazioni al pubblico ministero.

Forse una discussione provocata dal rifiuto di Nada di abbandonare quel posto di lavoro? Se è vero che, come confidato alla madre, non stava più bene in quello studio, lo è altrettanto che quell’impiego era per lei indispensabile perché rappresentava l’indipendenza economica che aveva sempre cercato.

Le telefonate anonime

Dopo il delitto, due telefonate anonime raggiungono l’Avv. Gianluigi Cella e lo studio del commercialista Soracco. Al di là della cornetta la voce racconta dettagli dell’omicidio riconducibili a una donna: Annalucia Cecere.

Chiamata del 15 maggio 1996 rivolta all’Avv. Gianluigi Cella, nel suo studio legale sito in via Roma 54

La voce femminile raccontava che, intorno alle 8.50 del 6 maggio, mentre percorreva in auto via Entella all’incrocio con via Marsala, avrebbe visto Annalucia azionare il suo motorino parcheggiato in via Marsala davanti al negozio di calzature Casella. Nel tentativo non ricambiato di salutarla, avrebbe notato la faccia sconvolta della Cecere.

Chiamata del 14 agosto 1996, registrata dalla segreteria telefonica dello studio di Marco Soracco

Il nastro registrato è stato consegnato dallo stesso commercialista agli inquirenti. La voce, anch’essa femminile, dichiarava di avere 24 anni e avanzava sospetti “su una certa Cecere” avendola vista fuggire con un motorino da via Marsala la mattina dell’omicidio. La donna asseriva altresì di aver avvisato anche “gli avvocati del commercialista e della vittima, ma anche della Curia”.

Queste due chiamate, quindi, andrebbero ad avvalorare quanto raccontato da un mendicante che, all’epoca, dichiarò di aver visto uscire dallo stabile di via Marsala una donna somigliante alla Cecere e salire a bordo di un motorino.

Le nuove indagini

La Procura di Genova ha incaricato il Prof. Emiliano Giardina di procedere all’analisi genetica su tutti i reperti rinvenuti sulla scena del crimine: impronte, formazioni pilifere e tracce ematiche. Toccherà quindi alla scientifica procedere con il luminol e compiere altri accertamenti tecnici sul motorino di Annalucia Cecere. Quest’ultimo è stato sequestrato dalla squadra mobile di Genova e si trova adesso in un autosoccorso di Cuneo, dove l’indagata vive con la famiglia. Difatti, la donna, trasferitasi a Boves in provincia di Cuneo, aveva portato con sé il motorino e lo custodiva in un box.

 

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Dottoressa Anna Vagli, giurista, criminologa forense, giornalista- pubblicista, esperta in psicologia investigativa, sopralluogo tecnico sulla scena del crimine e criminal profiling. Certificata come esperta in neuroscienze applicate presso l’Harvard University. Direttore scientifico master in criminologia in partnership con Studio Cataldi e Formazione Giuridica
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