Omicidio Luigia Borrelli, come si è arrivati alla svolta 29 anni dopo: macchia di sangue e dna del parente
Una vecchia macchia di sangue, l'analisi genetica del dna e la banca dati che consente di prelevare il dna ai detenuti, così dopo 29 anni si è arrivati alla svolta sull'Omicidio di Luigia Borrelli, la donna uccisa nel 1995 in un basso a Genova. Il cosiddetto delitto del trapano, avvenuto nella notte del 5 settembre 1995, era rimasto irrisolto per 29 lunghissimi anni fino a quando gli investigatori hanno ripreso in mano quegli indizi circa un anno e mezzo fa, analizzandoli alla luce delle moderne tecnologie e arrivando a un nome: Un 65enne dipendente in una carrozzeria del capoluogo ligure.
Il dna e la banca dati dei detenuti
Per l'accusa sarebbe lui l'uomo che uccise Luigia Borrelli con un trapano per rapinarla dopo aver consumato con lei un rapporto sessuale a pagamento. A lui si è arrivati analizzando quella traccia di sangue trovata nell'abitazione che la donna usava per prostituirsi, comparandola con la banca dati dei detenuti. Dall'esame infatti è emerso la compatibilità con un parente del 65enne, che si trova recluso nel carcere di Brescia, e che ha indirizzato gli investigatori della guardia di finanza e della squadra mobile verso la pista finale.
L'uomo, raggiunto in casa sua lunedì scorso, ha negato ogni addebito non escludendo però di aver potuto frequentare come cliente la vittima, che si faceva chiamare Antonella dopo aver dovuto prostituirsi per una serie di debiti con gli strozzini. L'uomo, seppur indagato, resta a piede libero perché il Gip ha respinto la richiesta di arresto della Procura, ritenendo non necessarie misure cautelari.
L'indagato resta libero
Per il Gip infatti non c'è il rischio di reiterazione del reato visto che "sono passati quasi 30 anni", l'uom è "incensurato" e potrebbe essere "in astratto una persona diversa" e "Non si è mai dato alla fuga". Anche "il fatto che sia fortemente dedito al gioco non dimostra certo che lo stesso si trovi attualmente in una situazione personale di incapacità di controllo dei propri impulsi e quindi in una situazione criminogena" spiega il Giudice.
Omicidio di Luigia Borrelli: "Killer voleva provocare sofferenza"
Lo stesso Gip però conferma la brutalità dell'assassino spiegando che "siamo di fronte ad una situazione di overkilling ossia ad una modalità di esecuzione del fatto con ‘tecnica ridondante' ossia l'utilizzo di più modalità idonee a causare la morte". A Luigia Borrelli sono stati praticati "non uno bensì quindici buchi", ricorda il giudice, aggiungendo: "È chiaro che il trapanamento era idoneo di per sé a cagionare la morte, ma l'utilizzo di questo strumento per ben quindici volte sul petto e sul collo della vittima dice che soggettivamente l'intento dell'autore era quello di arrecare dolore alla vittima e di vederla soffrire fino all'ultimo istante della sua vita". Il killer si è accanito sulla vittima "con pugni e colpi manuali, con utilizzo dei frammenti di porcellana di un posacenere, utilizzo di uno sgabello in legno per fracassare il cranio, utilizzo del trapano per perforare la vittima in zone vitali quali il petto e il collo con macabra ferocia".