Omicidio Linsalata, Amato a processo: “Non ho somministrato nulla, stravedeva per me e teneva al matrimonio”
"Quella notte non sono salito in camera, non ho somministrato farmaci a Isabella né ho alzato le mani su una sola persona al mondo". A dirlo è Giampaolo Amato, il medico 65enne a processo davanti alla Corte d'Appello di Bologna con l'accusa di aver ucciso la moglie Isabella Linsalata e la suocera, Giulia Tateo. Secondo la Procura, Amato avrebbe somministrato prima alla suocera, trovata morta in casa il 9 ottobre del 2021 e poi alla moglie Isabella Linsalata, deceduta circa 20 giorni dopo, i farmaci Midazolam e Sevoflurano.
Per l'accusa, Amato avrebbe ucciso la moglie per non affrontare i costi di un divorzio, mantenere la proprietà della casa di famiglia e rifarsi una vita con l'amante più giovane. La Procura è anche convinta che l'omicidio della suocera sia stato orchestrato per "provare" i farmaci che il medico aveva intenzione di utilizzare sulla moglie.
Amato ha negato entrambi gli omicidi, sostenendo di "non sapere come mai siano state trovate tracce dei farmaci" nel sangue della moglie e della suocera. "Io non ho mai somministrato nulla – ha detto -. L'unica cosa certa su cui c'è consenso unanime è che Isabella non si è suicidata. Difendeva la nostra famiglia, i figli e forse anche me". Alla domanda su se Linsalata fosse o meno dipendente da farmaci, Amato ha risposo: "Non l'ho mai vista assumerne. In più occasioni ha mostrato sonnolenza ma erano episodi che risalivano già all'università. Non mi ha mai detto che farmaci prendesse esattamente, solo che assumeva medicinali per dormire e stare più tranquilla. Non l'ho mai vista abusarne".
"Non penso – ha continuato – che Isabella aumentasse i dosaggi in modo razionale. Verosimilmente lo faceva in modo inconsapevole e le è scappata la mano. Non lo so". Secondo quanto raccontato da Amato, unico imputato per i due omicidi, sarebbe stata Linsalata stessa a dirgli di aver trovato nei suoi esami del sangue valori alti di benzodiazepine già a fine 2019. "Io le ho creduto. Quando le ho chiesto come mai mi ha detto che era accaduto perché prendeva qualcosa per dormire". "Mi disse anche che ricordava che pochi giorni dopo sarebbe stato il mio compleanno – ha affermato il medico -. Mi ha detto: ‘Ci sono problemi. Sei disposto a passare un colpo di spugna su questa persona? Andiamo a Portonovo di Ancona e facciamo un fine settimana insieme?'. Non aveva paura di me, una persona che mi aveva proposto questo poteva mai pensare che le dessi dei farmaci? Per quale motivo avrei dovuto addormentarla per pochi minuti o ore? A quale scopo?"
"Perché avrei dovuto uccidere due donne che stravedevano per me – ha continuato Amato parlando della suocera e della moglie -. Io quei farmaci neppure so come si somministrino. Quando Isabella mi chiese di fare un weekend insieme per recuperare il nostro matrimonio, io mi sono rifiutato perché amavo un'altra. Se però avesse davvero temuto che le somministrassi dei farmaci, perché avrebbe dovuto farmi questa richiesta?".
In aula, Amato non avrebbe risposto a molte domande della pm. La prima sulla famosa bottiglia di vino risultata positiva alle benzodiazepine. Non avrebbe infatti davvero rivelato come possa esserci finito dentro il Midazolam nonostante il lungo e tortuoso discorso. Lo stesso sarebbe avvenuto anche per rispondere alla domanda sui sette piani di scale saliti più volte la notte in cui morì Tateo, sola nell'appartamento sopra al suo. "Non sono andato da lei – ha solo affermato -. Forse facevo degli esercizi per il ginocchio, sono ipercinetico. Ma non ricordo".
Tra due settimane l’esame proseguirà con le altre parti civili e la difesa dopo la prima parte tenutasi nella giornata di oggi, 19 giugno, nell'ambito del processo per duplice omicidio. La prima parte dell'esame al medico si è tenuta davanti alla pm Morena Plazzi e l'avvocato di parte civile per la cognata, Maurizio Merlini.