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Omicidio Impastato, slitta ancora l’esproprio del casolare: la Regione ha sbagliato indirizzo

Un difetto di notifica, un errore in un indirizzo. Tanto è bastato per rimandare l’esproprio del casolare in cui, il 9 maggio 1978, è stato ucciso il militante Peppino Impastato. L’immobile costerà alla Regione Siciliana, quando la procedura sarà conclusa, oltre centomila euro e poi sarà ristrutturato con fondi della Città metropolitana di Palermo. “Ci auguriamo che resti com’è e che il posto non venga snaturato”, dicono a Fanpage.it Giovanni Impastato e Salvo Vitale, fratello di Peppino uno e amico fraterno l’altro.
A cura di Luisa Santangelo
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Non è ancora il momento giusto. L'annuncio del presidente della Regione Nello Musumeci diceva che il 15 dicembre si sarebbero concluse le procedure di esproprio del casolare di Cinisi dove è stato ucciso Peppino Impastato. Ma ieri mattina, di fronte all'edificio, i proprietari e i dipendenti regionali hanno siglato un verbale che rinviava tutto: niente da fare, c'è un errore negli indirizzi delle notifiche. "La Regione Siciliana non sa fare una procedura di esproprio", dice a Fanpage.it il consulente dei Venuti, la famiglia del farmacista proprietario dell'immobile in cui il 9 maggio 1978 il giornalista e attivista è stato ammazzato dalla mafia. Un delitto per il quale sono stati condannati i mandanti (Vito Palazzolo e Gaetano Badalamenti, ‘u zu Tanu), ma non gli esecutori materiali. Quando sono stati individuati, erano già morti.

Quando le due parti in causa (proprietari e Regione) vanno via dopo un nulla di fatto, in quel posto poco distante dal centro di Cinisi, a poche centinaia di metri dall'aeroporto di Punta Raisi e dalla linea ferrata, rimangono soltanto Giovanni Impastato e Salvo Vitale. Fratello di Peppino uno, amico fraterno l'altro. "Quella mattina questo casolare era qua ma non l'ha guardato nessuno", spiega Salvo Vitale. "Dove è stato trovato il corpo potevano passare tutti, i compagni no". I colleghi di militanza politica di Peppino restano fuori. Possono andare a vedere con i loro occhi cosa è successo solo il giorno dopo. La ferrovia era già stata ripristinata. "Abbiamo raccolto brandelli di Peppino perfino dai cavi dell'elettricità, poi siamo arrivati dentro e abbiamo visto le macchie di sangue su un sedile di pietra, che adesso non c'è più".

Sui sassi chiari gialli rimasti, ci sono alcuni garofani rossi ormai secchi. "Non mi hanno fatto venire qui fino a qualche giorno dopo – ricorda Giovanni – I compagni volevano risparmiarmi quella vista". Il depistaggio è storia ormai nota: prima l'ipotesi dell'atto terroristico suicida, poi le macchie di sangue aprono la strada dell'omicidio di mafia. Ma chi lavorava con lui, lo sapeva da subito che Peppino era stato ammazzato dalla mafia di Cinisi. "Peppino era un comunicatore, un ambientalista, un attivista politico, uno scrittore, un poeta". La Casa Memoria Peppino e Felicia Impastato e il Centro siciliano di documentazione Giuseppe Impastato ne raccontano le sfaccettature.

All'ingresso della strada stretta che si imbocca per arrivare al casolare, per il quale la Regione Siciliana ha messo sul piatto oltre centomila euro,  c'è una targa con scritto "Via 9 maggio 1978", ma è un'intitolazione non ufficiale. E pure l'esproprio è soltanto annunciato. "Speriamo che questo posto resti com'è, che non venga snaturato". Messo in sicurezza, certo, ma non trasformato. "Ha un valore per la storia dell'antimafia che resti così". La storia dell'antimafia sociale, "quella che vede la mafia nello sfruttamento delle forze lavoro che ci sono sul territorio – conclude Vitale – L'antimafia che faceva Peppino. Tutte le altre sono chiacchiere".

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