Ha scaricato il caricatore della pistola d’ordinanza contro la moglie e l’amante di lei. Elisa Rattazzi, 32 anni, madre di due figli, è rimasta uccisa, mentre Giuseppe Cardella, operaio, 33, se l’è cavata con ferite gravi, ma non mortali, una ai testicoli. È il femminicidio di Torino del 2008, una storia dimenticata dalle cronache, ma che ha ancora tanto da insegnare sulla violenza di genere.
L'amore malato di Raffaele Cesarano ed Elisa Rattazzi
Elisa Beatrice Rattazzi era una ragazza fragile. Lei e Raffaele Cesarano, guardia giurata, si erano conosciuti una decina di anni prima in un bar e tra di loro era nata subito una storia che a definirla burrascosa, la si sminuiva. Tra scenate di gelosia da una parte e dall’altra, liti e riconciliazioni, quella storia aveva preso la forma di una relazione a lungo termine quando Elisa era rimasta incinta della loro bimba. Avevano deciso di sposarsi, ma i fiori d’arancio, anziché regalare stabilità a quella coppia, sembravano averla messa ancor più in difficoltà.
Dipendenze e depressioni
Raffaele aveva una dipendenza dal gioco, Elisa, di contro, se ne stava la maggior parte del tempo a casa, a letto, senza riuscire a occuparsi né di se stessa né delle faccende domestiche, consumando sigarette come in fretta si stava stava consumando il suo entusiasmo per quella vita di coppia. Raffaele, che scambiava per indolenza la depressione della moglie, non mostrava pazienza né comprensione. Chi frequentava quella casa sapeva che quando lui si arrabbiava volavano schiaffi, pugni calci. Botte fortissime.
La relazione con l'amico Giuseppe Cardella
A complicare le cose a un certo punto ci aveva pensato Giuseppe Cardella, operaio amico della coppia. Aveva cominciato a frequentare Elisa, o almeno era quello che credeva sua moglie che un giorno Cesarano trovò in lacrime nel soggiorno di casa sua. “Fattelo spiegare da tua moglie” dice uscendo dall’appartamento. La guardia giurata si adombra, affronta la moglie che nega, ma nel frattempo quell’amo lanciato nel mare di fragilità e insicurezze di Raffaele, ha fatto presa. Tra marito e moglie la tensione cresce, tanto che una volta lui comincia a picchiarla così forte che lei implora, in ginocchio: “Sparami alla testa”. Lui si ferma, si calma, arrivano i carabinieri e gli sequestrano l’arma di ordinanza.
Il precedente
La separazione paventata tante volte diventa definitiva. Marito e moglie smettono di vivere insieme, si dividono il tempo dei figli, fanno tutte le cose che si fanno in vista di un divorzio. Lui però vorrebbe tornare insieme a Elisa, le manda messaggi appassionati, non si arrende. E poi c’è quel tarlo della relazione con Giuseppe, l’amico che con lui si vantava delle sue prodezze tra le lenzuola. Non sarà che, forse, parlava proprio di sua moglie? Sospetti, paranoie, ossessioni e nel frattempo, la pistola tenuta in custodia ha fatto ritorno nella fondina sul fianco di Cesarano. La Prefettura non ha ravvisato “elementi che facessero pensare a gesti inconsulti”, per cui il 35enne “non è pericoloso”.
Esecuzione a cielo aperto
Si arriva così al 20 maggio 2008, giorno del ‘chiarimento’ tra le due coppie di amici, quella di Raffaele e della ormai ex, Elisa e quella di Giuseppe e consorte. Sono circa le 20, all'incrocio tra via Fossata e via Rossi Lauro, dove, un tempo, Cesarano abitava con Elisa a Barriera di Milano. Ai due presunti fedifraghi viene chiesto di ammettere la relazione. Giuseppe nega, Elisa, invece grida che è successo davvero. I due, uno davanti all’altra litigano davanti a Cesarano che gli si para davanti, appoggiato sul cofano della macchina, a mo di giudice.
La pistola restituita dalla Prefettura
Sul fianco ha la fedele calibro 9 di ordinanza della Security. Punta Elisa, come in un'esecuzione, crivellandola con sette colpi. Quattro, invece, sono riservati all’amico, uno dei quali nelle parti bassi, a colpire la virilità. Dopo quella sparatoria in pieno giorno, a cielo aperto, sotto gli occhi di tutti, Cesarano resta ad affrontare il suo destino. “Ho ucciso mia moglie e l’amante” dice ai carabinieri. Loro sanno già chi è, sanno anche perché. Sono quelli che gli hanno tolto la pistola.
L'epilogo
Il processo con rito abbreviato si concluderà, più tardi, con una condanna a 18 anni di carcere per omicidio e tentato omicidio. Il caso viene presto dimenticato da quella stampa che 12 anni fa, non mostrava ancora traccia della sensibilità con cui oggi maneggia i casi di femminicidio. Nessun dibattito sulla tragedia annunciata, su quella pistola restituita a un uomo in procinto di crollare, sulle violenze domestiche considerate parte integrante di un menage conflittuale. Accadeva allora come oggi, perché se questa storia può insegnarci qualcosa, è proprio che la lotta alla violenza di genere è ancora una strada in salita.