Omicidio Alice Scagni, parla il marito: “Per dieci anni terrorizzati dal fratello Alberto”
"Vivevamo nella costante paura di trovarci Alberto fuori dalla porta. Per questo motivo avevo proposto ad Alice di trasferirci in una casa di villeggiatura della mia famiglia, a lui sconosciuta, ma lei aveva sempre rifiutato. Gli voleva bene, era convinta che non l’avrebbe mai toccata". Queste le prime parole alla polizia di Gianluca Calzona, 35 anni, marito di Alice Scagni, la donna uccisa dal fratello, Alberto, con 19 coltellate la sera di domenica 1 maggio poco distante dal portone della sua casa nel levante genovese. Le dichiarazioni dell'uomo sono contenute in un verbale ora agli atti dell’inchiesta.
"Ho conosciuto Alice – spiega quindi il coniuge agli investigatori della squadra mobile , come riporta il Secolo XIX – nel 2010 e ci siamo sposati nel 2018. Il fratello, Alberto appunto, soffriva di crisi epilettiche. È una persona che si vanta molto, per ogni cosa, come ad esempio il fatto di praticare arti marziali, di usare e vendere varie droghe, che in alcuni frangenti mi è capitato di vedere (stupefacente è stato sequestrato nell’alloggio del killer poco dopo la tragedia, oltre ad alcuni fogli contenenti frasi farneticanti, ndr)".
Secondo il marito di Alice, il quadro psicologico di Alberto Scagni sarebbe stato definitivamente compromesso a partire dal 2013: "Dopo essere stato lasciato dalla fidanzata, si era licenziato dal lavoro e da lì in avanti aveva subito un vero e proprio tracollo – racconta – non era più riuscito a lavorare e viveva solo grazie agli aiuti dei genitori, che colpevolizzava per la sua situazione economica. Inoltre, i suoi problemi di dipendenza dall’alcol e dagli stupefacenti avevano subito un peggioramento".
Una situazione peggiorata col tempo. "Nel 2015 la nuova fidanzata di Alberto aveva mandato un messaggio ad Alice, dicendole che suo fratello aveva tentato di strangolarla. Circa due anni prima invece, la madre era riuscita a fargli avere un lavoro in uno studio legale, ma dopo sei mesi lui era stato allontanato perché ritenuto inaffidabile. La scorsa estate gli era stata ritirata la patente per guida in stato di ebbrezza e, in quell’occasione, si era vantato dicendo di essere scappato e che le forze dell’ordine avevano faticato a prenderlo, nonostante il suo tasso alcolemico fosse elevato".
Nell’ultimo periodo aveva iniziato a manifestare manie di persecuzione. Temeva di essere escluso dall’eredità e, al contempo, erano aumentate le sue richieste di soldi verso i familiari. In un’altra occasione Alberto mi aveva accusato di aver messo delle cimici nella sua abitazione per spiarlo, perciò avevo deciso di non rispondere più alle sue chiamate. Alice, al contrario, gli voleva bene, era sempre disposta ad aiutarlo e si sentivano spesso al telefono".
L'ultima follia, prima dell'omicidio della sorella sarebbe avvenuta tre settimane fa: "Alberto era andato da sua nonna, che vive nello stesso palazzo, a Sampierdarena. Dopo essere entrato in casa, aveva iniziato a minacciarla di non andarsene, se non gli avesse dato 50 mila euro. La nonna era riuscita ad allontanarlo mettendosi a urlare e attirando l’attenzione di una vicina, che aveva chiamato il padre di Alberto. Una settimana fa, invece, aveva bloccato la serratura ancora della nonna e, qualche giorno dopo, aveva rotto con un pugno il pannello della sua porta d’ingresso, tanto che avevano già ordinato una porta blindata e sarebbe arrivata fra un mese. Qualcuno aveva poi dato fuoco all’alloggio dell’anziana molto probabilmente Alberto".
Quindi il racconto del delitto:
La sera del Primo maggio, intorno alle 20.40, Alice era scesa a portare fuori il cane, ma un minuto dopo ho sentito le sue richieste di aiuto. Mi sono affacciato alla finestra e l’ho vista aggredita da Alberto, che indossava un cappellino. Lui l’ha colpita più volte e io ho dato l’allarme, chiamando i soccorsi. Pure un vicino è intervenuto e io sono sceso subito, portandomi dietro un coltello per paura di ciò che Alberto avrebbe potuto fare".