Omicidio Alessandra Matteuzzi, l’ex sull’arma del delitto: “Il martello? Era per legittima difesa”
Prima di salire in auto per raggiungere casa di Alessandra Matteuzzi, l'ex calciatore Giovanni Padovani avrebbe messo nello zaino il martello usato per l'omicidio. Una volta giunto in via dell'Arcoveggio, a Bologna, avrebbe nascosto l'arma dietro un albero e aspettato l'ex fidanzata 56enne.
Al pm Domenico Ambrosino, l'ex calciatore ha detto di aver portato il martello "per legittima difesa", sostenendo di essere già stato aggredito dalla sorella di Alessandra e dal suo fidanzato. "Mi ha minacciato brandendo un crick – ha affermato – e volevo difendermi".
Per questo motivo, in occasione dell'interrogatorio di convalida dell'arresto, il pm Domenico Ambrosino avrebbe chiesto per lui l'aggravante dello stalking, ma non quella della premeditazione.
Eppure, il piano descritto da Padovani sembra essere stato pensato nei minimi dettagli: il 27enne avrebbe portato con sé il martello usato poi per uccidere la ex da Senigallia. "Solo per legittima difesa – ha spiegato -. Volevo difendermi dalla sorella e dal suo fidanzato che mi aveva già minacciato".
Nonostante questa dichiarazione, però, Padovani ha ammesso di aver raggiunto di nuovo Bologna dopo la fine della sua relazione con la 56enne per chiarire "episodi che lo stavano facendo soffrire". Il calciatore ha raccontato le 48 ore prima del massacro agli agenti che lo hanno fermato subito dopo l'omicidio, ma si è rifiutato di ripercorrere il tutto davanti al gip.
Secondo quanto riportato nelle dieci pagine di ordinanza, la storia tra Padovani e la vittima si era interrotta il 23 luglio scorso. Alessandra aveva scoperto alcuni tradimenti e aveva scelto quindi di interrompere il rapporto nato nell'estate nel 2021.
I due non si sentivano più dal 4 agosto, ma il killer era ossessionato dall'idea che la donna potesse iniziare a frequentare uno dei suoi amici. "Aveva iniziato ad aggiungerli sui social – ha sottolineato davanti agli agenti – e questa cosa andava chiarita".
Il 27enne avrebbe quindi chiesto "un permesso all'allenatore" della sua squadra e sarebbe tornato a Senigallia. La notte di domenica 21 agosto è partito in auto verso Bologna, arrivando in città la mattina del 22.
Secondo quanto da lui dichiarato, a quel punto avrebbe aspettato la ex fidanzata su una panchina per parlare. La sorella della vittima, invece, sostiene che il calciatore le abbia teso un vero e proprio agguato, staccando la luce nel suo appartamento e cogliendola di sorpresa nel locale contatori.
Lui afferma di aver solo parlato e di aver "finalmente chiarito" con la 56enne, ma la sorella di lei smentisce. Sandra aveva paura di lui e si sarebbe recata nel locale contatori con lo spray urticante.
Dopo un iniziale confronto, i due hanno deciso di trascorrere il resto della giornata insieme e avrebbero poi consumato un rapporto sessuale. La circostanza è stata confermata dalla stessa Alessandra che aveva raccontato tutto alla sorella sottolineando di essersi subito pentita dell'accaduto.
Alla fine di quella giornata, lui era tornato a Senigallia e lei aveva smesso di rispondergli al telefono. "Non l'ho accettato – ha sottolineato Padovani -. Eravamo stati bene, mi sono sentito usato". La mattina di martedì ha deciso di partire nuovamente per Bologna con il martello al seguito.
Alle 16 si è nuovamente trovato in via dell'Arcoveggio e ha nascosto il martello vicino a un cespuglio. Padovani è poi salito sul tetto e ha aspettato Alessandra. Quando lo ha visto, la 56enne ha iniziato ad urlare di aver già chiamato la polizia. A quel punto il calciatore 27enne ha afferrato l'arma e l'ha colpita alla testa.
Il 27enne ha infierito sulla donna usando anche una panchina. L'ha colpita più e più volte, fino a quando gli agenti non lo hanno fermato.
Il killer era già stato denunciato per stalking il 29 luglio. Alessandra aveva raccontato alle forze dell'ordine le continue molestie alle quali era sottoposta e i dispetti che aveva dovuto subire dalla fine della relazione con il calciatore.