Vincenzo Agostino è un omone imponente con gli occhi profondi e il viso circondato da folti capelli e barba bianca. La prima volta che ci siamo incrociati eravamo a Palermo, anni fa, nella storica Piazza Magione alla Kalsa e io colpevolmente non sapevo nulla di lui. Suo figlio Antonino, agente di polizia è stato ucciso il 5 agosto del 1989 a Villagrazia di Carini insieme alla moglie Ida Castelluccio incinta di cinque mesi e intorno alla loro morte, come spesso succede in Italia, la nube è densa di ombre, rapporti inconfessabili e trame taciute.
Nino Agostino e la moglie sono morti perché, questo è certo, il giovane agente di Polizia era venuto a sapere qualcosa che non avrebbe dovuto: in tutti questi anni si è parlato a lungo di una pista che porterebbe ad alcuni rapporti tra mafia e pezzi di istituzioni, tra servizi segreti deviati e boss. Il processo oggi punta sui boss di Cosa Nostra Antonino Madonia e Gaetano Scotto, oltre che all'ex agente di Polizia Giovanni Aiello, alias "faccia da mostro" da più parti indicato come anello di congiunzione tra mafia e servizi. Di sicuro il giovane Agostino custodiva documenti molto importanti nella propria abitazione che lui stesso aveva indicato come traccia fondamentale nel caso in cui gli fosse successo qualcosa e, guarda un po', quei documenti dopo una lesta perquisizione non sono stati più ritrovati.
Vincenzo Agostino, sostenuto dalla moglie Augusta e le figlie Nunzia e Flora, ha passato questi ultimi anni a chiedere verità e pretendere giustizia. In ogni occasione antimafia lo potete incontrare mentre arriva silenzioso, a braccetto con la moglie, con la lunga barba che gli si appoggia sul petto, mentre prende posto per ascoltare con attenzione. I famigliari delle vittime di mafia girano il mondo con un'arsura negli occhi che finisce per farli assomigliare tutti, come se diventassero fratelli partoriti tutti dallo stesso dolore. Vincenzo dice, serissimo, che non si taglierà la barba finché non saprà la verità sulla morte di suo figlio e la moglie: una barba di storia tutta italiana.
Sono giorni delicati questi per la famiglia Agostino: il 26 febbraio è previsto il confronto all'americana tra Vincenzo e "faccia da mostro" Aiello. "Sempre se ci arriverò al 26 febbraio" dice Vincenzo con la voce rotta dalla rabbia, perché "qui non c'è giustizia. Non c'è giustizia". E allora conviene riprendere i fili di questa storia e di questi ultimi giorni che dipingono un Paese al contrario: il 27 gennaio, pochi giorni fa, il boss Gaetano Scotto, capomafia di Acquasanta e principale indiziato come esecutore materiale del delitto Agostino è stato rimesso in libertà per scadenza dei termini di custodia cautelare. "Passeggia tranquillo all'Arenella", mi dice Vincenzo. Ma non finisce qui: il boss libero è troppo pericoloso in una fase così delicata del processo e così alla fine lui, Vincenzo Agostino, subisce l'ulteriore oltraggio di finire sotto scorta.
Un famigliare di vittima di mafia che finisce sotto protezione è la macchia di uno Stato dai meccanismi inceppati. La Procura di Palermo sottolinea come in questo periodo le scarcerazioni di personaggi importanti legati a Cosa Nostra desti non poca preoccupazione: i cattivi in libertà e i buoni in cattività per salvarsi. "Io praticamente sono ai domiciliari e l'uomo accusato di avere ucciso mio figlio se ne sta tranquillo. Ti sembra normale questo?".
No, non è normale. No.