Alla fine il discorso è abbastanza semplice e tutto sommato prescinde dal fiume di inchiostro e dai milioni di caratteri degli ultimi giorni. Che il coprifuoco esista o meno, che si tratti di mobilitazione dal basso o di una "induzione dell'emergenza dall'alto", ormai ha un'importanza relativa. E non si tratta di disconoscere i meriti di chi da sempre opera sul territorio o di far passare in secondo piano il lavoro ed il coraggio delle associazioni, dei volontari, di chi ogni giorno lotta e combatte contro la criminalità. Si tratta di qualcosa di molto più semplice e potente allo stesso tempo. Restare uniti contro un nemico brutale e spietato, capace di far leva sulla paura per controllare le coscienze; resistere all'indifferenza e non arrendersi al silenzio su una realtà sempre meno illuminata dalla "luce dell'informazione"; riportare la periferia al centro della discussione; tenere viva la convinzione che "questo davvero non è il migliore dei mondi possibili, che c'è una alternativa reale e che le cose possono davvero cambiare".
Ne scrive anche Roberto Saviano, quasi sommessamente, non indicando una via, ma semplicemente portando il proprio contributo: "È un coprifuoco anomalo. Lo consigliano piuttosto che imporlo. Lo consigliano caldamente. […] Eppure quasi nessuno parla di quel che accade. Il destino della battaglia alle mafie è sempre identico. Diventano grimaldello utile quando le parti politiche si scontrano e quando invece l'attenzione si sposta su altro decadono dall'attenzione pubblica."
E in tale situazione l'errore da non commettere è quello della divisione, dello sfaldamento del fronte del dissenso e del contrasto alla camorra. E' vero che per anni le tante persone che si impegnano per fare di Scampia un "posto migliore" sono state colpevolmente lasciate sole. Anche da "coloro che per mestiere dovrebbero raccontarci giorno per giorno, e nei dettagli, quel che accade, di bello e di orrido, a Scampia e in tutte le altre periferie dimenticate della metropoli", come faceva notare un editoriale qualche ora fa. Ma allo stesso tempo #occupyscampia rappresenta una enorme possibilità, proprio perché alcune istanze non meritano di essere dimenticate fino al prossimo tweet. E' la trasmissione della consapevolezza (che diviene indignazione) ad un orizzonte più ampio. E' la mobilitazione e la presa di coscienza attraverso i canali dell'informazione e della condivisione.
Ma c'è di più. E' una occasione di confronto ma anche e soprattutto un modo per far luce sul lavoro delle associazioni, "sull'abbandono che troppo spesso riscontriamo da parte delle istituzioni": occupyscampia può e deve essere un megafono per quelle istanze radicali di cambiamento e di resistenza che da sempre vengono portate avanti nelle periferie. Venerdì 3 febbraio in piazza Giovanni Paolo II giornalisti e semplici cittadini (come se vi fosse differenza…) saranno lì soprattutto per ascoltare, imparare e diffondere (soprattutto grazie alla capacità di penetrare i social network); per far luce su quanto di profondo e vitale viene fatto ogni giorno a Scampia, ma anche per dimostrare che "non si dovrebbe essere lasciati soli quando si combatte una battaglia del genere". Siamo d'accordo, Scampia non merita strumentalizzazioni politiche o personalismi di poco conto, ma soprattutto Scampia non merita indifferenza e silenzio.