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“Occupa/rsi”: la protesta dei lavoratori contro la scure di Trenitalia (REPORTAGE)

Otto mesi in cassa integrazione con i pagamenti bloccati dall’Inps. Questa la situazione di 59 operai della Rsi, manutentori dei treni notte, che hanno deciso di occupare la fabbrica nei pressi della Stazione Tiburtina, a Roma: “Trenitalia punta sui Frecciarossa e licenzia 800 persone che lavoravano sui convogli ordinari. Ci vogliono sbattere fuori per costruire parchi residenziali e centri commerciali”
A cura di Enrico Nocera
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Protesta operai treni notte

“Dividere il Paese in due: non c’è riuscita la Lega Nord, c’è riuscita Trenitalia”. Gli operai manutentori di via Partini, due passi dalla stazione Tiburtina di Roma, pronunciano la battuta fra ironia e rabbia. Da lunedì 20 febbraio i 59 operai della Rsi Italia, in cassa integrazione straordinaria da 6 mesi, dopo 2 di ordinaria, hanno occupato la fabbrica deputata alla manutenzione dei treni notte. La nuova proprietà, la Barletta Srl di Marcianise, ha infatto bloccato la produzione con l’intenzione di riconvertire il sito in attività più remunerative: centri commerciali e parchi residenziali, con l’intenzione di sfruttare al meglio l’apertura del nuovo terminal Alta Velocità della stazione Tiburtina.

LA “STRAGE” DEI TRENI NOTTE – Per capire bene il contesto occorre fare un piccolo passo indietro, a partire dall’11 dicembre 2011. La data che segna l’ulteriore (e secondo molti definitiva) frattura tra il Nord e il Sud Italia. Basta fare un giro sul sito internet di Trenitalia per notare come i convogli che partono dal Meridione, diretti verso Milano, Torino o Venezia, siano stati drasticamente ridotti, con il caso limite della Sicilia che ne ha visto la totale soppressione. Non solo: i treni ordinari diretti da tutta la Sicilia verso Roma sono passati da 26 a 10 al giorno; eliminati due convogli notte da Reggio Calabria a Venezia, con ulteriori tagli dei posti sui vagoni letto, che sono stati praticamente dimezzati: da 428 a 288. Il tutto con enorme dispendio per le tasche dei pendolari. Come scrive l’utente di un sito di informazione siculo: “Sono di Catania e studio a Udine. Prima spendevo 90 euro per percorrere la tratta Catania – Venezia Mestre. Ora il costo minimo del biglietto è 151,20 euro, con scalo obbligatorio a Roma”. La scelta di Trenitalia di puntare solo sull’Alta Velocità, arrivando a spendere 330 milioni di euro per il restyling della stazione Tiburtina, è quindi contestata da operai e pendolari, con i primi che perdono il lavoro e i secondi costretti a spese titaniche per un viaggio in treno.

OTTOCENTO OPERAI LICENZIATI – Il quadro generale che abbiamo sinteticamente dipinto ci riporta alla situazione della fabbrica romana di via Partini. Gli operai del sito, dopo i mesi in cassa integrazione, sembrano destinati a seguire gli 800 operai di tutta Italia che già hanno perso il lavoro a causa dei tagli sui treni notte. D’altra parte il problema, come sottolineano gli stessi lavoratori, non è nella mancanza di commesse: “Qui il lavoro c’è – ci dice un tecnico della manutenzione convogli – abbiamo addirittura rilevato molte commesse dall’Atac, che ci ha ordinato dei carrelli per la metropolitana”. Sì, perché la cosa quanto meno curiosa è nelle commesse ricevute dal trasporto pubblico capitolino: ogni carrello, come ci confermano dalla fabbrica, è costato circa 80mila euro di soldi pubblici. Una volta ultimati, sono stati lasciati in fabbrica, con gli operai che ancora si chiedono il perché: “La verità è una: hanno deciso di dismettere l’area per attuare il Piano Casa approvato da Comune, Provincia e Regione. Del nostro lavoro non frega niente a nessuno, men che meno al nostro titolare, Barletta”. Il quale, dulcis in fundo, non paga da mesi l’anticipo della cassa integrazione ordinaria e impedisce, fattivamente, all’Inps di emettere gli ulteriori anticipi concessi per legge dalla cassa integrazione straordinaria. Gli operai, insomma, tirano avanti da otto mesi senza percepire un solo centesimo: “Ci vogliono prendere per fame. Ma noi da qui non ce ne andremo. Molti di noi lavorano in quest’ambito da trenta o quarant’anni, non sapremmo ricollocarci in nessun altro settore”.

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