“Non tornare tardi la sera e porta con te lo spray al peperoncino, non si sa mai”, “Appena rientri a casa, scrivimi, fammi sapere che va tutto ok”, “Non vestirti in questo modo, potresti attirare attenzioni indesiderate”, “Non dare confidenza agli sconosciuti” sono solo alcune delle frasi che le donne si sentono spesso dire.
Con queste raccomandazioni siamo cresciute più o meno tutte, in un mondo che ci ha fatto intendere che con lo stupro e il femminicidio dovevamo imparare fin da subito a convivere.
Ogni anno, in occasione del 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne, si moltiplicano le campagne di sensibilizzazione sul tema e questa volta ad attirare molte critiche è stata quella di Atm, l’Azienda trasporti milanesi.
“Diamo alle donne i mezzi per combattere la violenza” e “Riconosci la violenza prima che sia troppo tardi” sono i due claim scelti da chi ha ideato la campagna. Di fronte a queste frasi però è sorto un dubbio: perché, ancora una volta, viene chiesto alle donne di combattere un fenomeno che sono costrette a subire.
Nei giorni scorsi sono circolate in rete le foto dei cartelloni affissi in due fermate della metropolitana di Milano, dove qualcuno ha scritto con un pennarello: ‘Diamo agli uomini la capacità di non essere violenti’ e ‘Educa tuo figlio’.
Da un lato, non si può non ribadire la necessità di fornire alle vittime di violenza strumenti immediati, come il 1522, il Numero Anti Violenza e Stalking; o l’importanza di tutelare e rispettare chi subisce uno stupro al momento della denuncia e del processo contro chi ha usato violenza. Dall’altro però a volte si dimentica un concetto fondamentale.
Chi opera la violenza sulle donne sono gli uomini. Bisogna avere il coraggio di dirlo e accettarlo per riuscire a combatterla davvero. Secondo dati della Croce Rossa Italiana, anche nel 2024, in media, è stata uccisa una donna ogni tre giorni, solo per il fatto di essere donna. Nel report settimanale del Ministero dell’Interno si legge che dal 1° gennaio al 17 novembre 2024 sono stati commessi 98 femminicidi, di cui 51 per mano di un partner o un ex.
Il problema è sistemico, riguarda uomini e donne di ogni estrazione sociale, etnia ed età. Ma come si combatte? Con la prevenzione e riconoscendosi responsabili di una violenza che troppe volte viene data per scontata o ridimensionata, di una violenza che nasce da stereotipi e retaggi culturali che, contrariamente a quanto sostengono alcuni, si sono evoluti in forme e manifestazioni nuove.
Il patriarcato non si è estinto ma continua a sopravvivere nelle discriminazioni, nelle molestie, negli stupri e nei femminicidi, a cui ci siamo forse ormai tristemente assuefatti.
Eppure, come già detto, anche se può essere difficile riconoscersi parte di un sistema così agghiacciante, il solo modo per liberarcene è forse quello di accettare di esserne tutti parte.
Specialmente gli uomini che con la frase “Non tutti gli uomini” spesso hanno manifestato e manifestano la volontà di allontanare da loro un problema che invece dovrebbe coinvolgerli direttamente e farli sentire responsabili.
“Non tutti gli uomini, ma tutte le donne” è la replica di chi sa che la prossima vittima potrebbe essere lei. “Se domani sono io, mamma, se non torno domani, distruggi tutto./ Se domani tocca a me, voglio essere l’ultima”, ha scritto Cristina Torre Cáceres nella sua poesia diventata virale dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin.
Di fronte a parole così dure, di fronte alla tragicità di questa consapevolezza, come può un uomo non sentirsi parte del problema e tentare, per quanto possibile, di acquisire i mezzi per riconoscere e combattere la violenza in se stesso e negli altri?
A differenza delle tante iniziative e delle campagne che ogni 25 novembre si rivolgono solo alle donne, bisognerebbe anche rivolgersi agli uomini. E chiedere loro: “Davvero volete che le donne vivano in un costante stato di terrore? Che abbiano paura a tornare a casa da sole la sera? Che pensino di poter perdere la vita da un giorno all'altro per mano dei propri padri, mariti, fidanzati, figli?”.
Così come esistono strumenti da dare alle donne per ‘sopravvivere’ alla violenza, ne esistono altrettanti per gli uomini, per riconoscere la violenza prima che sia troppo tardi. Sono tanti ma spesso non se ne parla.
In Italia oltre ai Centri Antiviolenza a cui una donna può rivolgersi per denunciare, cosa fondamentale ma che purtroppo molte hanno il timore di fare, ci sono i Centri per Uomini Maltrattanti che offrono ascolto e aiuto a chi quelle violenze le compie.
Anche chi sa di non aver mai fatto del male a una donna e chi non si sognerebbe mai di farlo può fare scelte che contribuiscano a creare un mondo più sicuro per le donne che non devono essere considerate una “categoria protetta”, ma una parte integrante della società.
Che merita la libertà di uscire di casa a ogni ora del giorno e della notte, che merita di potersi vestire come vuole, che merita di sentirsi al sicuro dentro la propria casa, che merita di fare esperienze ed innamorarsi senza il timore di incontrare il proprio assassino.
Per cominciare basterebbe empatizzare con chi la violenza la subisce, reagire ad affermazioni e atti sessisti, scendere in piazza accanto alle donne per dimostrare che l’impegno è di tutti.
Dobbiamo continuare a chiedere alle donne di denunciare chi le umilia, maltratta, picchia o violenta prima che sia troppo tardi, ma smettiamo di colpevolizzarle indirettamente per non essere state abbastanza attente, per non aver riconosciuto “i segnali”, per essersi presentate al famoso “incontro chiarificatore” o per essersi innamorate della “persona sbagliata”.
Iniziamo anche a riflettere e ad agire per dare agli uomini gli strumenti per contribuire a cambiare questo stato di cose.