“Non sono mafiosi”, ma gli confiscano tutto. Il paradosso degli imprenditori Cavallotti
Sono stati assolti con sentenza definitiva dall'accusa di essere vicini alla mafia, ma il loro patrimonio è stato definitivamente confiscato dalla sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo. È la paradossale vicenda della famiglia Cavallotti, imprenditori di Belmonte Mezzagno, un piccolo paese alle porte di Palermo.
Il loro calvario inizia nel 1998 quando i tre fratelli Cavallotti, considerati "i re del metano" della provincia palermitana, vengono arrestati in un blitz antimafia. Per loro l'accusa è quella di essere vicini all'allora boss latitante Bernardo Provenzano che avrebbe favorito la loro azienda nell'aggiudicazione di alcuni appalti per i lavori di metanizzazione in diversi comuni siciliani.
Dopo due anni e mezzo di carcerazione preventiva, però, il colpo di scena: gli imprenditori Cavallotti vengono assolti in primo grado perché il fatto non sussiste. "Degli imprenditori vittime di mafia furono considerati complici dell'associazione mafiosa – racconta Pietro Cavallotti, uno dei figli degli imprenditori coinvolti in questa vicenda – La nostra famiglia non c'entra niente con la mafia".
In realtà l'azienda del gas dei Cavallotti sarebbe stata citata realmente nei pizzini dei mafiosi, ma per la cosiddetta "messa a posto", cioè per il pagamento del pizzo e non per essere favoriti negli appalti pubblici.
L'assoluzione definitiva per i tre imprenditori Cavallotti arriva a fine 2010 con la sentenza emessa dalla Cassazione.
Nel 2011, ben tredici anni dopo il blitz antimafia, il Tribunale di Palermo emette tuttavia un decreto di confisca di tutti i loro beni. Confisca che diventa definitiva nel 2015.
"Il Tribunale di Palermo ha ritenuto che il nostro patrimonio fosse frutto di un reato per il quale, però, eravamo già stati assolti – spiega Pietro Cavallotti – Da un lato un giudice stabilisce con sentenza definitiva che non si è commesso alcun reato, dall'altra parte altri giudici rivalutano lo stesso materiale probatorio e arrivano ad una conclusione opposta".
Nel 2017 i Cavallotti sono stati anche sfrattati e ora si appellano alla Corte europea per riavere indietro il patrimonio confiscato, forti dell'assoluzione nel processo pensale a loro carico. "Lottiamo principalmente per poter ottenere le nostre case" conclude amareggiato Pietro Cavallotti.