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Non solo Ungheria: anche in Italia obiettori fanno ascoltare battito del feto a chi vuole abortire

Dopo la notizia che in Ungheria sarà obbligatorio ascoltare il battito del feto prima di abortire, numerose donne hanno raccontato la loro esperienza in Italia, dove questo atto è una prassi. Le attiviste di ‘Obiezione Respinta’ hanno reso pubbliche queste testimonianze per mostrare il livello di violenza ostetrica e ginecologica cui si va incontro quando si decide di interrompere una gravidanza.
A cura di Natascia Grbic
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È di poche settimane fa la notizia che in Ungheria è stato approvato un decreto per cui le donne che vogliono abortire dovranno ascoltare obbligatoriamente il battito dell'embrione o del feto. Una decisione, quella del governo di estrema destra guidato da Viktor Orban, che ha sollevato molte polemiche anche qui in Italia. Dove però la pratica di costringere le donne ad ascoltare il battito anche quando vogliono abortire è prassi consolidata in molti ospedali.

"Mi ha fatto sentire il battito non uno, ma dieci minuti. Quando ho chiesto come fare per procedere all'interruzione di gravidanza, non mi ha risposto. Il primo consultorio a cui mi sono rivolta ha detto che non avrei dovuto rimanere incinta se non lo volevo e mi ha negato supporto, il secondo pure. Alla fine dalla Campania sono dovuta andare nelle Marche, perché conoscevo un medico lì che mi ha aiutata ad abortire".

Questa che abbiamo riportato è la testimonianza di una ragazza rilasciata alle attiviste di ‘Obiezione Respinta‘, collettivo transfemminista che ha l'obiettivo di contrastare la pratica dell'obiezione di coscienza in Italia. ‘Obiezione respinta', insieme a ‘Ivg ho abortito e sto benissimo', ha lasciato una campagna chiedendo alle donne di raccontare le loro esperienze. E sono in tante ad aver scritto, condividendo storie di violenza ginecologica e ostetrica che fanno capire come in Italia il diritto all'aborto sia ben lontano dall'essere garantito.

"L'idea generale è di raccogliere testimonianze e fare divulgazione sul tema, in modo da non far sentire sole le donne e far capire che possono far valere i loro diritti – spiega a Fanpage.it Eleonora Mizzoni di ‘Obiezione Respinta' – Gli obiettori di coscienza sono ormai talmente tanti che si prendono libertà inammissibili a partire dai loro rapporti di forza in ospedale e dal fatto che a livello pubblico si sentono legittimati a trattarti come un'assassina".

"Ho deciso di interrompere la gravidanza perché il feto era affetto da Trisomia 21. Una dottoressa mi ha portata in una stanza e mi ha fatto un'ecografia, mettendo il battito. Le ho chiesto per quale motivo stesse facendo questa cosa dato che dovevo abortire, mi ha risposto che era prassi. Questa ecografia poi è sparita, non l'hanno mai inserita nella cartella clinica".

Mizzoni spiega che l'obiezione di coscienza non è solo il non accesso a un servizio, ma anche una questione di malasanità. "Gli ospedali dove il numero di medici non obiettori è basso, la qualità del servizio è scarsa. A seconda di chi ti capita ti vengono fatte ramanzine non richieste, ti costringono ad ascoltare il battito o guardare l'ecografo. Ci hanno scritto donne che hanno raccontato di come i ginecologi abbiano spacciato loro il rumore dell'ecografo per il battito. Questo comportamento è contrario a qualsiasi etica medico – paziente".

"Avevo 18 anni. Il medico che mi ha fatto l'ecografia di controllo sapeva benissimo che volevo praticare l'ivg. Mi continuava a far sentire il battito dicendo ‘Ascolta il miracolo della vita che è in te, ascolta il miracolo della vita che solo da te può nascere'. Mi hanno fissato l'intervento a pochi giorni dalla scadenza del termine, per ‘darmi il tempo di riflettere'".

"L'eliminazione dell'obiezione di coscienza è un passo fondamentale per veder garantito il diritto all'aborto – continua Mizzoni – La 194 dice che un ospedale dovrebbe riuscire a garantire il servizio nonostante i medici obiettori, ma nella pratica non avviene. Quello che fanno è paragonabile a una tortura: il punto non è solo garantire un servizio, noi non vogliamo essere toccate da questa gente".

Un altro problema che le donne si trovano ad affrontare, anche nel caso di medici non obiettori, è il trattamento umiliante cui sono sottoposte. Rimproveri, giudizi sulla propria vita, frasi offensive e Ivg praticate senza fornire informazioni né antidolorifici. "Nelle strutture con alta percentuale di obiettori chi poi va a praticarla non sa trattare con le pazienti – dice Mizzoni – Non c'è cura né formazione su questi temi".

Come far sì che le donne vedano non solo garantito il proprio diritto ad accedere all'aborto, ma anche che siano trattate come meritano e non sottoposte ad abusi e umiliazioni? "Bisogna essere tranchant: non siamo in un Paese come la Francia dove l'obiezione di coscienza è al 6%, abbiamo una storia diversa, l'influenza dei Vaticano e dei pro life. Vogliamo l'eliminazione dell'art. 9 della 194: se ti iscrivi a ginecologia sai che ti troverai ad affrontare delle interruzioni di gravidanza, e se non vuoi vai a fare un'altra cosa".

Per questo raccontare le storie di chi ha vissuto queste esperienze e, in questo caso, è stata costretta ad ascoltare il battito, è importante. Perché aiuta a prendere coscienza di quanto avviene all'interno delle strutture sanitarie, e può essere un primo passo per provare a cambiare le cose. "Lanciamo un appello a tutte le donne che hanno subito questa violenza a contattarci e ha raccontare la loro esperienza – conclude Mizzoni – Non siete sole, unite siamo più forti e possiamo cambiare le cose".

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