Questo articolo è molto lungo, ma certe opinioni richiedono tempo e spazio per articolarsi. Sono giorni, mesi, anni che continua ad accadere. Il razzismo dilaga strisciando silenziosamente nelle abitudini, nei modi di dire, di pensare, di esigere diritti. Non è una cosa che vedi e capisci subito. Accade lentamente. Le esplosioni di follia, i raptus animali, i momenti di esaltazione non sono un sintomo, sono conseguenze. Prima ce ne rendiamo conto, prima possiamo rimediare.
Non è facile scrivere un articolo così, è evidente che incontrerà una serie di critiche e di reazioni, anche violente, dettate da quella che viene interpretata realmente come genuina volontà di riscatto. Perché io ci credo quando qualcuno dice: “il problema è che qui non c'è abbastanza per noi”. Dentro quell'abbastanza ci sono un sacco di cose. C'è l'esasperazione, c'è la povertà, c'è l'assenza di prospettive o ci sono prospettive di merda, da vivere con frustrazione perché ti fanno credere che alternative non ce ne sono. Io ci credo che molti pensano genuinamente che non si tratta di egoismo ma autodifesa, e proprio perché ci credo, questo mi fa ancora più paura delle esplosioni di violenza. Sia chiaro, chi deliberatamente sceglie la strada della violenza e dell'intolleranza, chi sceglie di prendersela con i più deboli e strumentalizza il malcontento per diffondere messaggi di odio è solo feccia, e certe cose è meglio dirsele così come stanno, fare chiarezza. Quello che invece è più avvilente, è che è tutto vero. In Italia non c'è lavoro, la povertà dilaga, le condizioni di vita di larghissima parte della popolazione sono al limite della decenza. Nessuno nega che sia così. Ma siamo sicuri che il problema sia chi sta peggio di noi? Chi ci ha convinti di questa cosa? Quando è iniziata?
Io non voglio ripercorrere quella che è la storia di un paese di migranti, perché in troppi e troppo meglio di me l'hanno già fatto e a quanto pare è inutile o meglio, non funziona. Voglio fare un ragionamento, e voglio farlo a partire dalle stesse premesse utilizzate da chi sfocia poi in conclusioni razziste. Il ragionamento sarà questo: partirà da due fatti di questi giorni (le proteste a Quinto di Treviso e lo sgombero di una famiglia rom a Putignano, Pisa), porterà due esempi diversi di fatti passati, per poi tornare a quello che sta accadendo in questi giorni, non solo a Treviso e a Pisa ma nel nostro paese.
Partiamo dal fatto più piccolo, di cui si sa poco e che sembra c'entri meno nel ragionamento. Ieri a Pisa è stata sgomberata una famiglia rom che abitava su un terreno agricolo di sua proprietà. Esasperato dall'impossibilità di trovare casa perché nessuno affitta agli zingari, il capofamiglia (cittadino italiano, come sua moglie e i suoi nove figli) ha adottato una soluzione che gli era stata proposta dal Comune: acquistare un terreno e di viverci dentro case mobili. Dai primi mesi dell'anno però è stato oggetto di ordinanze di sgombero perché il terreno non era edificabile e, visto il clima, per non vivere nel fango, aveva sparso della ghiaia. Gli abitanti della zona hanno protestato, insieme alla famiglia, perché invece di uno sgombero si trovasse una soluzione che garantisse il diritto all'abitare. I figli vanno tutti a scuola, sono perfettamente integrati al punto che le famiglie dei loro compagni hanno scritto una lettera in cui si richiedeva di non disperdere a colpi di ordinanze il patrimonio di integrazione costruito. L'unica cosa che il Comune ha fatto è stata richiedere a chi protestava di trovare una soluzione: i cittadini dovevano trovare una casa a una famiglia cui il Comune, dopo avergliela fatta costruire, l'ha tolta. A niente sono valse le proteste, nessuno ha appoggiato la cittadinanza, ieri l'amministrazione comunale (la stessa che gli aveva fatto comprare il terreno, sia chiaro) ha mandato le ruspe e tutto è finito così.
Il rovescio dello specchio è chiaramente quello che sta accadendo in Veneto. I fatti di Quinto di Treviso sono noti a tutti: cittadini e esponenti locali di movimenti notoriamente e dichiaratamente fascisti stanno protestando contro la possibilità del Comune di accogliere 101 profughi e lo stanno facendo con una violenza inaudita: bloccando l'arrivo del cibo, dando alle fiamme i mobili e i letti destinati ai profughi. Non sono soli, gli abitanti della zona: incassano il favore e la solidarietà del governatore della Regione e del segretario nazionale del partito di quest'ultimo. Istituzioni che quindi, in questo caso, appoggiano la cittadinanza. Non tutta, però. Stamattina infatti, un presidio di solidarietà ai profughi è stato represso: le forze dell'ordine hanno picchiato gli attivisti che stavano seduti pacificamente e hanno arrestato una cinquantina di persone, a mo' di esempio per chi volesse riprovarci.
Del resto parliamo di un partito che nasce dal malcontento di un pezzo di questo paese, individuandone un altro pezzo come responsabile, e che, preso da mire nazionali o meglio nazionalistiche, ha deciso che il nemico è un altro, che la guerra non è più Nord contro Sud ma Italia contro il resto del mondo. Non tutto il mondo però, solo i poveretti. Risulta evidente e nessuno nega infatti che il problema della Lega e dei leghisti sono i profughi, sono quelli che non hanno niente e da noi ci vengono perché scappano dal luogo in cui sono nati. Che ci vengano per fame, per guerra, per emanciparsi o solo perché vogliono cambiare posto, la questione è una sola: “Questi da noi che vogliono? Prima gli italiani”. Sarebbe interessante allora verificare esattamente a quali italiani sarebbero stati tolti i posti del centro di accoglienza, a quali italiani potevano essere destinati i letti e i mobili dati alle fiamme, a quali italiani è stato tolto il cibo che si è voluto impedire venisse consegnato.
Sono domande che nessuno si fa, che chi protesta ignora perché è preso dall'odio e dalla paura, e che chi monta la protesta bada bene a soffocare dietro il peso di slogan sempre più evocativi di ben altri tempi di questo paese, e stavolta non si parla affatto degli emigranti con valigie di cartone. Il problema del governatore del Veneto, del Segretario della Lega e degli abitanti di Quinto di Treviso non è a chi è stato tolto, ma a chi è destinato tutto questo. Per realizzare un lavoro così, per operare una strumentalizzazione e un lavaggio del cervello tali, non bastano pochi mesi o pochi giorni: è un lavoro lungo, certosino, un'operazione di mistificazione della realtà che ha un sacco di precedenti storici che poi hanno tutti la stessa conclusione. Il popolo affamato se la prende con il più debole, il più debole viene schiacciato, ma il popolo continua ad avere fame. Non lo dico io, lo dicono i libri di scuola.
Facciamo un passo indietro. Un anno fa, a Torre Angela, a Roma, qualcuno all'improvviso mette in giro una voce: “Stanno arrivano 1500 profughi. Il quartiere non sarà più al sicuro”. Nessuno sa quale sia la fonte della notizia, ma dilaga la protesta di un gruppo di persone che, nel giro di quindici giorni, occupa le strade del quartiere e i titoli dei quotidiani nazionali. La protesta è dipinta come quella di una comunità esasperata, che teme per la propria sicurezza, e farsene portavoce sono numerosi esponenti e movimenti politici, locali e non. La cosa assurda è che non era successo niente. Le voci venivano dal nulla e nel nulla si sono disperse, ma nel frattempo per due settimane si erano strumentalizzate le paure e le frustrazioni dei residenti di un pezzo di città dimenticato da dio e dalle istituzioni. Le telecamere arrivavano a Torre Angela e divoravano voracemente le storie di chi protestava, le immagini delle strade, del degrado in cui quelle persone avevano vissuto fino al giorno prima e nel quale avrebbero vissuto, in ogni caso, dal giorno dopo. Striscioni con chiari riferimenti a partiti e movimenti fascisti erano affissi in bella mostra contro la volontà degli stessi residenti, che protestavano contro una cosa che non esisteva perché qualcuno li aveva fomentati a farlo. Esponenti di questi movimenti e partiti facevano a gara per farsi intervistare, non riuscendo però a mettere in ombra l'unica cosa vera che i media aveva trovato a Torre Angela: degrado, assenza di servizi, un quartiere abbandonato completamente a se stesso, dove non c'è nemmeno una un consultorio, dove le strade sono piene di buche e ci sono costantemente rifiuti in bella mostra. Fossero arrivati o meno i migranti, guardando tutto da qui, riusciamo a individuare quale è il problema, chi i responsabili, e quali le strategie di distrazione?
Spostiamoci un po' più giù. A Scampia c'è un campo rom, in via Cupa Perillo. Da otto anni ormai si susseguono progetti di riqualificazione che però non portano mai da nessuna parte. Il campo ospita ottocento persone, di cui circa duecento bambini. Da quando è stata risollevata l'attenzione sulla questione della devastazione ambientale a Nord della Campania, contemporaneamente si sono alzate le voci di quelli che additavano la responsabilità dei roghi tossici di quest'area ai rom che abitano nel campo. Sono due anni che ogni volta che si solleva una coltre di fumo nero, partono random gli stessi sette o otto esponenti politici locali, e che un bel pezzo degli abitanti del quartiere gli va dietro: “Il problema è il campo rom”. Nessuno, in ogni caso, che chieda conto alla comunità locale dei funghi tossici che effettivamente si sollevano spessissimo dal campo. Basterebbe poco, per verificare come le famiglie abbiano più volte denunciato alle istituzioni il fatto che puntualmente arrivino camion a scaricare normi quantità di rifiuti, e che questi sono costretti a conviverci, con tutti i rischi sanitari e i fastidi olfattivi del caso. Ottocento persone, duecento bambini. Nessuno giustifica i roghi tossici, appare però singolare, intollerabile, il fatto che sia così facile additare la responsabilità del più grande scempio ecologico del nostro paese all'ultima ruota del carro, a chi ci si è trovato in mezzo, coinvolto suo malgrado dalla propria posizione di estrema debolezza.
Questo è bastato, questa piccola astuzia nel ragionamento, a renderli le vittime sacrificali ideali agli altari della politica più becera, quella che non risolve i problemi ma si inventa dei colpevoli per fargli la guerra. E tanto sono stati additati come colpevoli che quando, nello scorso dicembre, sono arrivati i provvedimenti di sospensione degli allacci di acqua e corrente elettrica perché abusivi, per molti non si faceva niente di male. Si ripristinava la legalità. Riuscite a ricordare quanto freddo faceva, a dicembre dello scorso anno? Riuscite a immaginare cosa poteva voler dire vivere in una baracca senza alcuna possibilità di tenersi al caldo, da un giorno all'altro? Riuscireste a immaginare duecento bambini che battono i denti per il gelo, ogni notte, sotto coperte di fortuna, mentre voi ve ne state nel vostro letto? Gli stessi che da anni provano a indirizzare l'odio degli abitanti del quartiere verso quel campo rom, si sono fregiati della medaglietta della legalità per dire che non si stava facendo nulla di male, che non era giusto che avessero abusivamente acqua e corrente. Peccato che tanta solerzia, tanta volontà di risolvere i problemi, non la si riesca proprio a reperire nell'applicazione dei progetti di riqualificazione, gli stessi che da anni prevedono lo stanziamento di milioni di euro per la costruzione di appartamenti per la comunità locale e lo smantellamento del campo. I rom di via Cupa Perrillo non hanno diritto ad acqua ed energia elettrica perché abusive, anche se soluzioni alternative non sono in vista e nessuna istituzione si preoccupa di prospettarne, e contemporaneamente sono responsabili dei roghi tossici, anche se questo accade perché nessuno si degna di togliergli la monnezza tossica da sotto al naso: dovrebbero conviverci.
E così si prova a far crescere l'odio, a individuare il nemico della popolazione di un quartiere che ha così tanti problemi che questa cosa, se non fosse odiosa e drammatica, farebbe ridere. Scampia, il quartiere simbolo mediatico del degrado e della camorra, da tutti evocato ma da pochissimi conosciuto veramente; in cui la disoccupazione giovanile è alle stelle, la camorra per anni ha confiscato letteralmente un pezzo di città per giocarci al far west, dove chiunque intervenga specula e basta, senza lasciare nulla a chi abita quelle strade, dove anche prendere la metropolitana ti genera la frustrazione di camminare in un cantiere che è fermo, sospeso nel tempo, da anni, appare e viene fatto apparire come il posto in cui l'emergenza sono i rom.
Cosa voleva dire questa sfilza di esempi? La parola che ritorna di più, in tutto l'articolo, è “Istituzioni”. Si tratta sempre di un giudizio negativo. Istituzioni assenti, istituzioni inadempienti, istituzioni distratte. Nessuno che faccia “il proprio dovere”, ma tutti a pretendere qualcosa da qualcun altro. Da chi? Dal più debole, dall'ultima ruota del carro. Quando nessuno è a difesa dell'intelligenza collettiva, quando nessuno si pone il problema di ragionare ma si cerca solo di avere ragione, succede questo: si confeziona un nemico e lo si consegna a chi scambia la rabbia legittima per necessità di sfogarsi. Si direzionano gli sfoghi, li si lascia andare quando fanno gioco (in Veneto, a Scampia) e li si ignora o reprime quando sollevano obiezioni di ragionamento (a Pisa e nel presidio a difesa dei profughi). Ci hanno messo un bel po', ma ci stanno riportando ai livelli di intolleranza culturale e di razzismo becero di altre epoche. Lo hanno fatto quotidianamente con gli interventi ai comizi, nelle televisioni, sui giornali. Hanno ventilato pericoli senza mai avere elementi per provarli, hanno creato casi mediatici dove non esistevano, tutto in nome del principio supremo che alla fine sono riusciti a metterci in testa: stiamo subendo un'invasione!
Non c'è nessuna invasione. Non siamo invasi, siamo invasati. Siamo invasati ogni volta che riusciamo a farci scorrere davanti agli occhi le immagini di un gruppo di profughi accampati da settimane su degli scogli senza farci domande. Siamo invasati ogni volta che digeriamo senza battere ciglio le immagine di decine e centinaia di morti affogati nel nostro mare, e rigurgitiamo odio e fatalismo, come se non potessimo farci niente e loro se lo meritassero. Siamo invasati ogni volta che siamo pronti a sollevarci a paladini della giustizia ogni volta che la giustizia schiaccia chi è più debole e non può difendersi. Siamo invasati perché i dati sulla delinquenza degli immigrati non possono essere considerati senza guardare a come facciamo vivere noi gli immigrati. Siamo invasati perché i dati, non io, dicono che l'Italia è il quinto paese per l'accoglienza in Europa: stanno da un'altra parte! Siamo invasati perché ci facciamo convincere che chi sta peggio di noi ci sta togliendo tutto, mentre ogni giorno emerge il business che c'è dietro i centri di accoglienza e chi si arricchisce, e alle spalle di chi. Siamo invasati perché ogni volta che a chi: “I rom rubano” chiedo: “ma a te hanno mai rubato qualcosa?” la risposta quasi mai è: “Sì”. Siamo invasati perché riteniamo normale bruciare, dare alle fiamme, accendere, incenerire, carbonizzare, i beni destinati ad aiutare qualcuno che fugge dalla guerra. Siamo invasati perché crediamo a tutto quello che leggiamo, vediamo, che ci dicono, anche se quelle cose non le abbiamo vissute mai. Siamo invasati e a tutti fa comodo che sia così: che ce la prendiamo con chi è un poveraccio come noi, che lasciamo che i più forti schiaccino lui, e pure noi.