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La morte di Liliana Resinovich

Non sappiamo ancora cosa è successo a Liliana Resinovich: per questo le indagini devono continuare

Perché le indagini sulla morte di Liliana devono continuare: omicidio o suicidio, gli elementi raccolti sino ad oggi non sono in grado di dirimere il giallo.
A cura di Anna Vagli
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Esiste il delitto perfetto? Sicuramente se lo stanno chiedendo gli appassionati di cronaca nera e, forse, anche chi indaga sulla misteriosa morte di Liliana Resinovich.

La donna scomparsa da Trieste il 14 dicembre scorso e trovata cadavere il 5 gennaio in un’area boschiva abbandonata. Omicidio o suicidio? Certo è che, più che un giallo, questa tragica fine assume ogni giorno che passa i connotati di una soap dai confini noir. Da un lato Sebastiano Visintin, il marito, dall’altro Claudio Sterpin, l’amico speciale per il quale Liliana progettava di porre fine a una storia d'amore che durava da oltre trentadue anni. Proprio con quest’ultimo la donna aveva in programma un fine settimana quattro giorni dopo la scomparsa. Prima, però, avrebbe dovuto lasciare il marito. Che, senza di lei, sarebbe incorso in gravi problemi economici, percependo una pensione minima di 500 euro mensili.

Nel dubbio, sia Claudio che Sebastiano, sembrano avere un alibi di ferro. Anche per questo, gli inquirenti, dopo cinque mesi, continuano a navigare a vista. Pur continuando ad indagare per sequestro di persona a carico di ignoti.

Il corpo della donna, avvolto in due sacchi neri della spazzatura e con due buste di plastica intorno alla testa strette con un cordino, non mostrava nessun segno di violenza. L’autopsia, che ha parlato di scompenso cardiaco acuto, non ha chiarito la dinamica della morte. E, in effetti, l’esame autoptico non ha neppure riscontrato segni di matrice asfittica. Sui sacchi e sulla bottiglietta rinvenuti nel boschetto sono state trovate soltanto le tracce di Liliana. Nessun Dna maschile riconducibile a Sebastiano o a Claudio. Neanche al vicino di casa Salvo. Non dirimenti sono stati i tossicologici che hanno escluso l’assunzione da parte della donna di sostanze come le benzodiazepine. Ma, allo stesso tempo, hanno riscontrato la presenza di un multivitaminico la mattina della scomparsa.

A questo punto, quindi, l’equazione che devono risolvere gli investigatori, che è poi la formula usata dai profiler americani per chiudere un caso, è la seguente: “perché + come = chi”. E per farlo proficuamente devono ripartire proprio dalla causa di morte. Assodato che, stanti le analisi sui telefoni, il perché potrebbe esser presto svelato.

Liliana Resinovich
Liliana Resinovich

Chi potrebbe mai suicidarsi infilandosi nei sacchi della spazzatura dopo aver assunto vitamine? Ad infittire la trama anche i risultati degli esami botanici che hanno riscontrato la presenza, sotto le suole zigrinate delle scarpe di Liliana, di un terriccio compatibile con quello del luogo di ritrovamento. Lilli è arrivata nel boschetto con le sue gambe per togliersi la vita o è stata tratta in quel luogo con l’inganno? In tale prospettiva, c'è anche  la questione del Dna vegetale. Difatti, il deposito del terriccio non è databile e di conseguenza potrebbe essere finito sotto le suole di Lilli in altre circostanze, dal momento che Claudio ha dichiarato che la donna era solita frequentare quel boschetto.

Inoltre, per avere risposte certe, occorrerà campionare tutta l’area per avere la certezza che il terriccio rinvenuto sotto le suole fosse tipico solo del luogo in cui è stata ritrovata. Si tratta anche di capire se effettivamente fosse terriccio misto – e questo dipende dalla composizione chimica e fisica del territorio – compatibile con altre aree della zona.

Senza dubbio, essendo il termine delle indagini ormai in scadenza, è auspicabile che la procura di Trieste si determini nel senso di chiedere una proroga. Troppi ancora i punti da chiarire. Alcuni appena menzionati, altri ancora da sviscerare insieme. Partendo dagli esiti degli accertamenti sui telefoni cellulari.

I messaggi e le ricerche nei cellulari

Gli accertamenti sui telefoni fugano ogni dubbio: Liliana era a un bivio esistenziale e aveva anche deciso quale strada imboccare: lontana da Sebastiano.

Nessuna ricerca, invece, è stata effettuata sulle modalità suicidarie e nessuna informazione è stata acquisita sul come procurarsi una morte per soffocamento. Tanto meno sono state riscontrate parole chiave inerenti l’utilizzo di sacchi di plastica come mezzo per togliersi la vita. E poi c’è quel messaggio inviato il giorno prima della scomparsa a Claudio Sterpin: “In relax pensando a domani, amore mio”. Certamente la donna stava attraversando un periodo di transizione, ma versava comunque in una condizione emozionale incompatibile con uno stato depressivo.

Insomma, per esser ancor più chiari, quel che emerge – e che restituisce piena credibilità all’amico speciale – è una progettualità che mal si sposa con l’estremo gesto autolesionistico. Proprio la volontà di continuare ad aiutare il marito rafforzerebbe l’ipotesi per la quale la decisione di Liliana di andare a vivere con Claudio era ormai inamovibile. Così argomentando, è altrettanto verosimile che la donna avesse quanto meno paventato al marito la decisione di costruirsi una nuova vita e nuovi ricordi senza di lui. A maggior ragione considerando le caratteristiche personologiche di Liliana, sicuramente strutturata e di principi. Al punto, come anticipato da Claudio e riscontrato nei cellulari, di preoccuparsi di cercare un appartamento per non mettere economicamente in difficoltà il compagno di una vita.

Vi è di più. Quanto digitato dalla Resinovich sui dispositivi conferma un altro dato, per quanto mi riguarda già acclarato sulla base dell’analisi della sua mimica facciale: Sebastiano ha mentito almeno su di un punto: la sua relazione con Liliana non era né simbiotica né idilliaca, ma era ormai arrivata al capolinea da tempo. E lui non poteva che esserne consapevole. Sulla stessa lunghezza d'onda si pone un'altra circostanza. Il pomeriggio in cui Lilli è scomparsa ha ignorato le ripetute chiamate fatte dall’amico Claudio sul telefono della moglie e, alle 21:34 del 14 dicembre, ne ha addirittura bloccato il contatto. Perché?

Liliana col marito Sebastiano
Liliana col marito Sebastiano

Il mistero del contapassi

Undici passi per sette metri e trentotto centimetri. Questa la distanza che secondo il contapassi del telefono cellulare Liliana avrebbe percorso la mattina in cui è scomparsa. Dati gli ultimi sviluppi, dunque, c’è da chiedersi se sia mai uscita dalla propria abitazione. E c’è da chiederselo perché negli ultimi giorni sono emersi alcuni dettagli che potrebbero essere dirimenti ai fini dell’indagine.

I familiari di Liliana hanno fatto sapere di non essere stati chiamati per il riconoscimento della donna in quei frame, ma di averne appreso la notizia esclusivamente da fonti giornalistiche. Una circostanza del tutto anomala. Chi meglio dei parenti è in grado di stabilire se è davvero Lilli quella ripresa dalle telecamere?

Andatura e postura, ad esempio, possono essere agevolmente riconosciuti soltanto da chi era vicino alla donna. Così argomentando, la mancanza di un simile riscontro oggettivo potrebbe cambiare radicalmente il quadro.

Perché, in questo senso, a supporto dell’effettivo passaggio di Liliana da piazzale Gioberti, resterebbe soltanto il racconto della fruttivendola. Con tutti i rischi che una testimonianza di quel tipo porta con sé. Il ricordo non è una fotografia e il fatto di compiere tutti i giorni la stessa attività potrebbe averla indotta in errore relativamente al giorno dell’avvistamento. Non è questione di mettere in discussione la credibilità della testimone, ma la sua attendibilità in buona fede.

Da tale angolo di visuale, se venisse provato che Liliana non è mai uscita dalla abitazione quella mattina, le indagini prenderebbero immediatamente un’altra piega.

La causa di morte

Quanto alle motivazioni del decesso di Liliana occorre fare una doverosa precisazione. Il ritrovamento del cadavere della stessa è avvenuto in un lasso temporale relativamente ampio. Di conseguenza, la risultanza autoptica è stata in grado di fornire un lasso temporale sull’epoca della morte, ma non l’ora esatta. Quindi, come del resto era ragionevolmente ipotizzabile, è stato riscontrato che Lilli è morta il giorno in cui è scomparsa. Un primo dato emerso, lo ricorderete, era quello per il quale il suo corpo – avvolto in due sacchi neri della spazzatura e con due buste di plastica intorno alla testa strette con un cordino – non mostrava nessun segno di violenza.

In questo scenario, si ribadisce, l’autopsia ha individuato come causa di morte lo scompenso cardiaco acuto, senza evidenziare segni di insufficienza respiratoria. Tuttavia, le modalità con le quali è stato rinvenuto il cadavere – con il capo infilato in due sacchi di nylon – hanno fatto pensare a una morte per soffocamento. Quindi provocata da una grave insufficienza respiratoria. In tal senso, però, la mancanza di ossigenazione è innescata da una serie di processi che devono essere inevitabilmente rilevati in sede autoptica anche a distanza di tempo. Così non è stato. Dunque, non potendosi sovvertire le leggi della biologia, è davvero inverosimile credere che Lilli abbia avuto un attacco di cuore non appena si è messa i sacchetti in testa senza lasciare il tempo che si verificasse sofferenza respiratoria.

Posto che non sono stati rese note le risultanze dell’esame istologico, continuando a essere oscure le cause alla base dello scompenso cardiaco acuto, sarebbe auspicabile – almeno dal mio punto di vista – la ripetizione dell’autopsia. O quanto meno la predisposizione di nuovi approfondimenti medico-legali. Difatti, essendo ancora le indagini in corso, rientra nei poteri dell’organo inquirente la nomina di un altro consulente che si accinga a compiere un nuovo esame autoptico.

La denuncia dopo la scomparsa di Liliana

Sebastiano ha effettuato denuncia soltanto alle 22:00 del 14 dicembre 2021. E lo ha fatto solamente dietro la sollecitazione dei vicini di casa, allarmati da Claudio e recatisi nella sua abitazione. Una denuncia, peraltro, sporta per allontanamento volontario. Ma se le cose fossero state idilliache come ha sempre sostenuto, sarebbe stato fisiologico, non vedendola rientrare, pensare al peggio e chiamare gli ospedali. Non ipotizzare un allontanamento volontario. Diverso è il discorso se l'uomo fosse stato consapevole che il suo matrimonio era ormai giunto al capolinea.

Sebastiano sapeva che Liliana non sarebbe mai tornata? I racconti degli amici

Laura e Pino, coppia di amici storica di Resinovich e Visintin, hanno raccontato in diverse interviste televisive come, soltanto dopo due giorni dalla scomparsa, Sebastiano si fosse recato presso la loro abitazione per consegnare alcuni effetti personali della moglie. Nel dettaglio, una macchina fotografica, un cuore in pietra e alcuni hard-disk contenenti foto della coppia. Perché un simile gesto? L’uomo ha sempre dichiarato di non poter lontanamente immaginare dove e con chi Liliana fosse finita. Dunque, quest’ultima avrebbe potuto rincasare da un momento all’altro e chiedere spiegazioni al marito. A meno che Sebastiano sapesse che ciò non sarebbe mai potuto accadere. Ma c’è un altro dettaglio di fondamentale importanza che hanno fornito Laura e Pino. Secondo quanto riferito, Visintin aveva da sempre adottato un comportamento autoritario nei confronti della moglie. Un atteggiamento disfunzionale al punto da esigere che la stessa gli allacciasse le scarpe. C’è da chiedersi che motivo avrebbero gli amici per mentire su una simile circostanza.

L’amico Claudio Sterpin

Claudio Sterpin.
Claudio Sterpin

Claudio ha tenuto sin dall’inizio un comportamento lineare e coerente. Ogni sua affermazione ha trovato riscontro negli accertamenti disposti dalla Procura. E si tratta di un dato investigativo sicuramente non trascurabile. Quella mattina Liliana gli ha veramente detto che si sarebbe recato al negozio di telefonia. Quindi bisogna capire cosa è successo dopo che ha raggiunto piazzale Gioberti. Ammesso che, sulla base di quanto poc'anzi evidenziato, l’abbia raggiunto. Claudio non aveva alcun interesse a che Liliana morisse. Inizialmente ha avuto qualche remora nel fornire dettagli, ma le ha avute per rispetto di Liliana.

L’enigma della borsa

Nel boschetto dell’ex ospedale psichiatrico il cadavere di Lilli è stato rinvenuto assieme a una borsetta nera vuota. Mentre i suoi documenti, il portafogli e i cellulari sono stati recuperati in una borsa chiara griffata all’interno della sua abitazione. E proprio il particolare connesso al colore della borsa ha destato sin da subito una serie di sospetti. Difatti, stando ai racconti di parenti ed amici, Liliana era solita utilizzare borse chiare in estate e borse scure in inverno. Un dettaglio che stride decisamente con quel ritrovamento. Possibile che prima di togliersi la vita abbia deciso di riporre i suoi effetti personali in una shopping bag che non utilizzava in quel periodo dell’anno? O forse è plausibile che, se di omicidio si è trattato, chi le ha fatto del male non ha mai prestato attenzione alla selezione delle borse che Lilli faceva a seconda della stagione e ha così deciso di riporle in una borsa qualunque?

L'importanza della scena del crimine

C’è un altro dettaglio non trascurabile. Sebastiano ha fatto per anni il fotoreporter di cronaca nera. Dunque, astrattamente potrebbe anche aver appreso come simulare un caso di morte sospetta. D’altro canto, l’arte si apprende con la ripetizione. Solo una suggestione? Forse, ma in anni di lavoro sulla scena del crimine ho imparato che le coincidenze non esistono. Anche se rimaniamo nel campo delle ipotesi, ribadendo che nessuno continua ad essere indagato e la procura di Trieste continua a procedere per il reato di sequestro di persona a carico di ignoti.

Il tfr e i codici bancari

Poco prima della scomparsa a Liliana erano stati liquidati cinquantamila euro a titolo di tfr. Sebastiano sin dall’inizio ha negato di essere a conoscenza di quel tipo di erogazione. Una versione poco convincente dal momento che le questioni economiche, in un matrimonio che durava da oltre trent’anni, dovrebbero fisiologicamente essere discusse all’ordine del giorno. Lo stesso ragionamento dovrebbe farsi in ordine ai codici bancari copiati, secondo quanto dichiarato dal fratello di Lilli, Sergio Resinovich, su di un foglietto riposto dalla donna dietro un quadro. Ebbene, sempre sulla scorta dei racconti di quest’ultimo, il biglietto in parola risulterebbe scomparso.

Le chiavi di casa e la fede nuziale

Anche le chiavi di casa rappresentano un giallo nel giallo. Difatti, quelle rinvenute nella tasca del piumino di Lilli, non erano quelle che usava di solito, ma soltanto una copia. Le originali, quindi, non sono ad oggi ancora state ritrovate. Avvolta nel mistero resta anche la questione relativa alla fede nuziale. Quest'ultima non rinvenuta sul corpo della donna. Una circostanza che potrebbe far presagire la circostanza per la quale la Resinovich se la sia sfilata dopo aver comunicato a Sebastiano la fine del loro matrimonio.

In questo dramma dai margini sbiaditi emerge sempre più evidente come la donna avesse una vita misteriosa. Chi la conosceva, fin da subito, ha escluso che potesse essersi tolta la vita. Per questo si è cercato di individuare un colpevole in Sebastiano o in Claudio. Del resto, c’era chi poteva avere un valido motivo a che Lilli morisse. Ma, d’altra parte, è sempre il cattivo che fa la storia. Forse perché davvero la gente non vuole giustizia, ma solo un mostro da prima pagina. In tutta onestà, diciamocelo, l’intera vicenda tanto si avvicina al dramma dei sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello. Proprio seguendo questo ragionamento, la parola persona deriva dal latino maschera. Rammentandoci che non siamo molto diversi rispetto a quanto scegliamo di mostrare. Quanto ai delitti perfetti, in questi anni sulla scena del crimine, ho imparato che non esistono. Al massimo restano impuniti. Dunque, per dirla come Voltaire, ai vivi si devono dei riguardi. Ai morti soltanto la verità. È necessario continuare a indagare per capire che cosa è accaduto davvero a Liliana Resinovich.

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Dottoressa Anna Vagli, giurista, criminologa forense, giornalista- pubblicista, esperta in psicologia investigativa, sopralluogo tecnico sulla scena del crimine e criminal profiling. Certificata come esperta in neuroscienze applicate presso l’Harvard University. Direttore scientifico master in criminologia in partnership con Studio Cataldi e Formazione Giuridica
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