La nostra redazione riceve lettere e testimonianze relative a storie che riguardano il mondo del lavoro. Decidiamo di pubblicarle non per dare un'immagine romantica del sacrificio, ma per spingere a una riflessione sulle condizioni e sulla grande disparità nell'accesso a servizi essenziali. Invitiamo i nostri lettori a scriverci le loro storie cliccando qui.
Nel dicembre 2022 lavoravo in un bar ed ero vicina al rinnovo contratto ma, inaspettatamente, mi arrivò una proposta di lavoro come segretaria amministrativa. Ci pensai su bene e decisi di accettare. Io e il mio compagno stavamo provando da molto ad avere un figlio (a maggio 2022 avevo purtroppo avuto una gravidanza non andata a buon fine).
Mi licenziai dal bar dopo che la titolare del nuovo posto di lavoro mi aveva proposto un contratto di apprendistato di 4 anni. Le dissi che stavo per compiere 31 anni e che quindi, da quello che sapevo, non rientravo nella fascia di età per un contratto da apprendista. Lei insistette, dicendomi che era sicura, glielo aveva comunicato la sua consulente. Così decisi di accettare.
Per me quel lavoro era una svolta di vita. Ricordo che mi mise fretta: dovevo assolutamente licenziarmi entro il 15 dicembre, (perché il 17 dicembre avrei compiuto 31 anni) altrimenti non sarebbero riusciti a farmi il contratto promesso. Comunicai allora sul posto di lavoro che mi sarei licenziata e il giorno successivo andai al patronato per il licenziamento ufficiale.
Una volta licenziata, dopo poche ore, mi telefonò la nuova titolare. Era mortificata, mi disse, perché avevo ragion, non rientravo come fascia d'età nell’apprendistato. Iniziai a sudare e mi venne quasi da piangere: con il mio compagno avevo da poco comprato casa e chiesto un mutuo, non potevo assolutamente permettermi di rimanere senza lavoro.
Per rimediare le mi disse di stare tranquilla, che mi avrebbe fatto subito un contratto da impiegata della durata di 2 mesi perché tanto, a detta sua, sarebbero comunque stati i mesi di prova, qualora mi avessero fatto un contratto da apprendista, e che una volta passati i due mesi mi avrebbero messa a tempo indeterminato. Io non ero molto felice ma, dopo essermi già licenziata dal precedente posto di lavoro, accettai per forza di cose.
A un mese dall'inizio del nuovo impiego scoprì di essere incinta. Il mio cuore da una parte scoppiava di gioia e dall’ altra voleva solo piangere, perché sapevo che non era il momento giusto, avevo paura che mi avrebbero messa a casa. Alcune amiche mi dissero che al posto mio non avrebbero detto nulla al lavoro, tanto per qualche mese non si sarebbe visto nulla, che facendo così avrei prima firmato il contratto.
Io però non riuscivo neanche a dormire, piangevo tutta notte e quindi decisi di essere onesta. Il giorno successivo andai al lavoro, chiamai la moglie del titolare e le dissi tutto. Lei sbiancò, cambiando completamente espressione, ma mi disse comunque di stare tranquilla, che non mi avrebbe mai messa a casa perché ero gravida.
A quel punto mi tranquillizzai, ma dopo due giorni le cose cambiarono improvvisamente. Il titolare dell’ azienda non la prese bene, disse che mi avrebbero rinnovato di un solo mese e che in quel mese avrei dovuto dimostrare che apprendevo bene il lavoro, affinché loro potessero farmi un ulteriore rinnovo.
La mia era una gravidanza gemellare monocoriale biamniotica e me la descrissero come una gravidanza a rischio. Sarei dovuta rimanere a casa dal giorno 0, ma volevo a tutti i costi quel posto e continuai ad andare al lavoro. Dopo il primo rinnovo, me ne fecero un ulteriore, di 2 mesi.
In questo lasso di tempo, anche stando male, andavo sempre a lavorare e la moglie mi diceva che ero brava, che stavo svolgendo tutto bene. Io ero felice, dicevo tra me e me che, nonostante la fatica, ne stava valendo la pena. Al terzultimo giorno di lavoro, prima della scadenza di contratto, il titolare entrò in ufficio e mi disse che doveva parlarmi.
Mi disse che, a malincuore, che non poteva tenermi perché ero un costo e che non sarebbe stato in grado di sostenere le spese, che se avessi fatto almeno un anno di maternità, sarei rientrata al lavoro e non mi sarei più ricordata nulla. Mi sono sentita usata. Mi sono rivolta a un patronato per capire se si potesse fare qualcosa, ma qui in Italia funziona così . Per noi donne, per noi madri, non c’è alcuna tutela. È uno schifo.