È vietato lavorare se hai la sindrome di Down?
Ovviamente no. Per ogni disabilità, fisica o intellettiva, esiste la possibilità di svolgere delle mansioni lavorative adeguate alle proprie possibilità.
La possibilità per chiunque di accedere al mondo del lavoro è un diritto riconosciuto, e dovrebbe essere possibile accedervi anche attraverso quelle liste pensate proprio per l'accesso al lavoro delle "categorie protette". Quasi sempre, però, non è così e il percorso risulta molto più lungo, talvolta accidentato. Quelle liste, ho scoperto, funzionano pochissimo e in molti casi per niente, e perciò le persone sono costrette a intraprendere altri percorsi, spesso con l'aiuto di associazioni.
Chiariamo subito un aspetto: il lavoro di una persona con disabilità non è beneficenza, non ha niente a che vedere con la carità ed è lontano anni luce da idee ottocentesche come "così, poverini, li teniamo un po' occupati". Si tratta, semplicemente, di lavorare. Un diritto costituzionale riconosciuto.
"Non c'è nessun poverino, non ci sono mascotte, ci sono persone che lavorano, e tendenzialmente lavorano molto bene, come per qualunque persona è soltanto necessario creare un ambiente accogliente", mi spiega Francesca Lucii, psicologa dell'associazione Trisomia 21 APS, con sede a Firenze. Ed è proprio a Francesca Lucii, e all'educatore Francesco Francalanci, a cui ho chiesto di accompagnarmi per conoscere alcune lavoratrici e lavoratori con sindrome di Down, intervistandoli e seguendoli sul posto di lavoro. Ne ho incontrati quattro: Tommaso Guicciardi, Francesco Cioppi, Ylenia Asanza Miranda e Pablo Traversi.
Le loro sono quattro buone storie, quelle che vengono chiamate "best practice", ma che dovrebbero semplicemente essere quattro storie normali, quasi ovvie nel loro percorso. Assumono invece un carattere di "eccezionalità" perché le persone con disabilità intellettiva, in Italia, faticano in genere moltissimo a raggiungere la possibilità di lavorare, e questo per una serie di storture burocratiche e di mancanza di volontà di far rispettare leggi anche già esistenti. Questo è anche uno degli aspetti sottolineati dall'associazione Trisomia 21 APS.
Un ringraziamento alle quattro imprese che mi hanno permesso di entrare nei loro spazi, registrare e intervistare e che ci hanno permesso di raccontare che per le aziende è possibile guadagnare, rispettando la legge e impiegando persone con una disabilità.
Facciamo un passo indietro: la dizione "categoria protetta" suona bene, però nei fatti che concernono il lavoro questa categoria è nei fatti poco protetta, talvota pochissimo. Per arrivare alla protezione vera, non solo al riconoscimento teorico di un diritto, sono necessari vari passaggi e concomitanze, e in ogni caso la "protezione" non è quasi mai immediata e finisce comunque per non coinvolgere tutti. Anche per questo sono nate associazioni come Trisomia 21 APS, per supportare i percorsi delle persone con sindrome di Down, anche nella fase di impiego lavorativo.
Io avevo conosciuto Trisomia 21 esattamente 10 anni fa, quando raccontai come – dai primissimi mesi di vita – li aiutassero nell'apprendere l'autonomia e la consapevolezza. Poi, due anni più tardi, raccontai i percorsi per la vita affettiva e sessuale. E oggi, per la prima volta, sono andato sul posto di lavoro per conoscere e raccontare quattro persone con sindrome di Down, durante lo svolgimento del proprio lavoro.
La prima persona che ho incontrato è stata Tommaso, in pratica l'ho interrotto mentre stava servendo le colazioni in uno dei più prestigiosi hotel a Firenze.
Ciao Tommaso, ti disturbo?
Ciao Saverio, no.
In cosa consiste il tuo lavoro?
Riempire le brocche di succo d'arancia, di pompelmo e di succo di mela. Poi tenere pulito il bar.
Come ti trovi?
Bene, una volta durante le colazioni ho fatto un cappuccino e l'ho portato a un cliente, e mi ha dato anche la mancia.
Faresti un cappuccino anche a me? Poi se sei d'accordo ci mettiamo a sedere, avrei altre domande da farti.
Volentieri!
Tommaso mi prepara il cappuccino e me lo serve, poi siede di fronte a me e continuiamo l'intervista.
Tu dove hai studiato?
Ho fatto l'alberghiero. Ho studiato cucina, sala e ricevimento. Ho scelto di essere un addetto di sala. Sono passato con 94 su 100.
Sei mai bocciato?
(fa una smorfia) No.
Non sarebbe stata un'onta.
No, no…
Con che tipo di contratto lavori?
Sono entrato per uno stage, poi ho avuto un contratto a tempo determinato e poi a tempo indeterminato. Quando ho scoperto che avrei firmato un contratto a tempo indeterminato, ero molto, molto contento.
Come arrivi a lavoro?
Prendo la tramvia, e poi 15 minuti a piedi.
Lo fai il biglietto per la tramvia?
No.
Come no?!
Ho l'abbonamento.
Tiro un sospiro di sollievo, lo ringrazio e il giorno dopo conosco Francesco, dipendente all'interno di un marchio di abbigliamento di lusso.
Ciao Francesco!
Ciao Saverio!
Dove lavori?
Vieni, ti faccio vedere.
Francesco mi accompagna dietro, nella sua postazione.
Francesco mi spiega: "Qui ho il mio computer e la mia sedia personale. Dall'altra parte del banco arrivano i fornitori, i corrieri, oppure i colleghi a ritirare la posta in entrata, li chiamo io quando arriva qualcosa con il loro nome. Ho il telefono accanto al computer".
Quanta professionalità!
Sì, ne abbiamo così tanta, noi, qua (sorride).
Ci mettiamo seduti, Francesco si avvicina al suo tutor e sento che gli sussurra all'orecchio: "Mi raccomando, non farmi vergognare di fronte a lui".
Scoprirò dopo che Francesco si riferiva al fatto che non volesse suggerimenti, o interruzioni. Desiderava infatti svolgere l'intervista in completa autonomia, si era preparato degli appunti su un foglio ma poi durante l'intervista aveva deciso di non leggere neanche quelli, e di rispondere alle mie domande (che non conosceva), senza basarsi su quello che si era preparato.
Che scuola hai fatto?
Ho fatto l'istituto d'Arte, facevo anche ceramica.
Da quanto tempo lavori qui?
Dal 2021, e poi nel 2022 mi hanno fatto un contratto a tempo indeterminato di ventuno ore a settimana.
Quanto guadagni?
Di preciso non lo so.
Cosa vuoi fare con il denaro che guadagni?
Vorrei comprarmi una casa con la mia fidanzata.
Ah, sei fidanzato!
Sì, ho una fidanzata, sto insieme a lei da 11 anni.
È bella?
Sì, è bella e stravagante.
A parte il progetto della casa, come spendi i soldi che guadagni?
Compro il Corriere dello Sport.
Fanpage.it lo leggi?
Sì, sui social, mi appaiono le notizie.
E con questo bel finale saluto e ringrazio Francesco, e ci spostiamo a Coverciano: Centro Tecnico della nazionale italiana di calcio, dove lavora Ylenia, addetta in un'azienda che si occupa del reparto cucina e sala.
Ciao Ylenia!
Buongiorno, buongiorno a tutti!
Come arrivi a lavoro?
Con l'autobus, prendo il numero 17. Vengo a lavoro, e poi torno a casa.
Lo prendi da sola l'autobus?
Sì, sola sola sola sola sola (lo dice cinque volte, estremamente orgogliosa)
Cosa ti piace fare a lavoro?
Sala e bar.
Sei contenta di lavorare qui?
Molto, tanto.
Poi Ylenia manda un bacio alla mamma, mi dà una dimostrazione di come apparecchia e poi va a prendere una foto della sua mamma.
La psicologa Francesca Lucii, che mi aveva accompagnato e ha seguito tutta la crescita di Ylena, mi spiega: "Ylenia ringrazia molto la sua mamma, perché quando era piccolina è stata spesso valutata da tecnici, neuropsichiatri, insegnanti, come una persona che non sarebbe arrivata da nessuna parte. Invece la mamma ci ha sempre creduto e l'ha supportata nei percorsi riabilitativi in associazione, e siamo riusciti ad arrivare qua".
Ylenia torna, mi mostra una foto di lei con sua mamma e ci salutiamo: "Grazie Ylenia, buon lavoro!"
"Grazie a te, buon lavoro a te!"
Infine vado in un'azienda di costruzioni, dove al reparto magazzino e pubblico lavora Pablo.
Buonasera Pablo!
Buonasera.
Nel salutarmi Pablo non ha alzato neanche la testa, è concentrato nel suo lavoro di magazziniere.
Non hai alzato neanche la testa per salutarmi.
(Pablo ride e alza la testa) Buonasera.
Io sono qui per raccontare il tuo lavoro. Mi spieghi in cosa consiste?
A destra abbiamo i battiscopa, poi qui metto tutte le mensole.
Qual è la cosa più faticosa che fai qui a lavoro?
La cosa più faticosa è la mia schiena, spostare i pesi. Però mi hanno spiegato come sopportare i carichi, la tecnica per alzarsi e come abbassarsi (e qui Pablo mi mostra la tecnica di gambe, con la schiena sempre dritta).
Qual è la prima cosa che fai quando arrivi a lavoro?
La cosa più importante è salutare, sempre. Ad esempio ciao, buonasera o buongiorno.
Da quanto tempo lavori qui?
Un anno.
Come spendi i soldi che guadagni?
Mi piace comprarmi le scarpe da maranza.
Da maranza?
Sì, mi piacciono molto (ride).
Come ti trovi con le tue colleghe e i tuoi colleghi?
Una meraviglia, molto socievoli, sono contento dei miei colleghi. A volte però mi stressano.
Poi mi racconta di aver preso un patentino che gli permette di guidare le palelunghe, cioè una macchina elettronica per raccogliere e gettare la spazzatura.
Hai mai investito qualcuno mentre la guidavi?
Per ora no, per il futuro non si sa (sorride).
C'è qualcosa che io non ti ho chiesto e secondo te sarebbe importante da dire?
Mi sta scadendo il contratto di tirocinio, però mi rivogliono e firmerò un vero contratto (e sorride).
Ci sono due frasi, che dopo aver conosciuto Tommaso Guicciardi, Francesco Cioppi, Ylenia Asanza Miranda e Pablo Traversi, mi giranto in testa. La prima frase è questa: "Il lavoro deve realizzare persone, prima che cose". E poi un'altra frase, forse ancora più efficace: "Mi piace quello che c'è nel lavoro, la possibilità di trovare se stessi".