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Non dite: “Era destino”. Sulla strage del bus in Irpinia vogliamo la verità

Il dolore lancinante dei parenti delle vittime, il circo mediatico intorno alla vicenda, il cordoglio delle autorità: quando sarà finito tutto ciò occupatevi a fondo delle responsabilità. Il bus era adatto a stare in strada? Quali le ultime manovre di chi lo guidava? E l’autostrada aveva tutti i dispositivi di sicurezza necessari? Non archiviamo questa strage come “inevitabile”: diamo risposte a chi vivrà ora una vita nel dolore.
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Non dite "destino", non dite "volontà di Dio". Quello che è successo sull'autostrada A16, la carneficina, l'inferno di lamiere o comunque si voglia in maniera tristemente giornalistica definire la morte di donne, uomini, bambini nell'autobus in Irpinia diretto a Pozzuoli per me non ha molto a che vedere con il fato, con la cruda sorte, con quel destino che quando viene viene e non c'è nulla da fare. Ora piangiamo i morti, stamattina una comunità si è stretta intorno a trentotto bare cercando di trovare conforto nella preghiera, nel rito collettivo che almeno per un momento consente di scaricare la rabbia e le tensioni collettive, la politica ha abbracciato, ha ammezzato le bandiere, si è espressa con svariate forme di cordoglio a mezzo stampa; il prete ha confortato, ha ammonito dall'altare, ha chiesto misericordia ma anche pane – nel senso che bisognerà pure aiutare chi è sopravvissuto ed ha perso tutto – a chi è finito in quel tritacarne (per usare un'altra triste espressione giornalistica).

Stasera non si fermerà il circo mediatico intorno al più grave incidente stradale degli ultimi decenni in Italia. Non si fermerà domani, non dopodomani. Ma quando sarà esaurita la narrazione della Spoon River di Pozzuoli (altra triste espressione del nostro mestiere in questi casi), quando avremo finito di discutere della "carambola di auto", quando avremo raccontato tutti gli oggetti ritrovati giù al viadotto dove i poveri partecipanti alla gita domenicale sono andati a vedere la morte in faccia, soltanto allora ci potremo concentrare su un punto, dolente come uno spillo nella carne viva: cosa è successo domenica sera? Di chi le responsabilità? È giusto parlare di incidente inevitabile? Sappiamo che l'autobus privato guidato da Ciro Lametta, morto anch'egli nello scontro, è sbandato, è urtato contro il new jersey della carreggiata sfondandolo e precipitando giù nella zona denominata ‘Località Acqualonga', tra Monteforte Irpino e Baiano, sulla A16, causando 38 morti e 10 feriti, cinque dei quali bambini, tutti di ritorno a casa dopo un weekend a Telese e una domenica di preghiera a Pietrelcina, paese natale di Padre Pio. È aperto dalla procura di Avellino un fascicolo per disastro colposo e omicidio colposo plurimo. I primi rilievi, lo ha confermato il ministro alle Infrastrutture Maurizio Lupi, hanno evidenziato che il mezzo potrebbe – il condizionale è assolutamente d'obbligo – aver perso pezzi già prima del tragico impatto. Non sono stati rilevati segni di frenata. Cosa significa? Che l'autista forse ha cercato di rallentare toccando la barriera. Ma perché? È esploso uno pneumatico: ha ceduto prima dell'impatto? Dopo, a causa della velocità elevata? La struttura di sicurezza in quel tratto che molti definiscono pericoloso, ha retto? Non era destino. Non chiamatela "volontà di Dio" che – per chi ci crede – nulla ha a che vedere con la manutenzione di mezzi e strade. E sicuramente non possiamo per l'ennesima volta archiviare come "inevitabile" una strage. Non possiamo e non dobbiamo.

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Giornalista professionista, capo cronaca Napoli a Fanpage.it. Insegna Etica e deontologia del giornalismo alla LUMSA. È autore del libro "Se potessi, ti regalerei Napoli" (Rizzoli). Ha una newsletter dal titolo "Saluti da Napoli". Ha vinto il Premio giornalistico Giancarlo Siani nel 2007 e i premi Paolo Giuntella e Marcello Torre nel 2012.
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