Se ne parla da giorni: Davide Maggio, blogger e critico televisivo durante una diretta Instagram ha giudicato le gambe di Emma Marrone inadeguate per indossare delle calze particolari sul palco dell’Ariston durante la sua performance sanremese. Se hai delle gambe “importanti”, laddove per importanti si intende robuste, grosse, e per chi vuole capire e non fare finta di niente, grasse, Davide Maggio dice che non puoi mettere le calze a rete, e quando Paolo Stella, imprenditore e influencer che divideva la diretta con lui, commenta “E chi l’ha detto?”, lui risponde con un granitico “Io”. Sembrerebbe l’ennesima opinione non richiesta o pagella di stile che nella settimana del Festival popolano riviste e social, ma si va oltre: Emma Marrone risponde sul suo account Instagram parlando di approccio “medievale” alla questione, di bodyshaming e invitando le ragazze più giovani a non avere timore del giudizio degli altri, ma a esprimersi e indossare tutto quello che desiderano. Cambiano i personaggi, cambiano le calze, cambia l’occasione mediatica, a me sembra sempre la stessa storia.
Non c’è occasione di visibilità per una donna in cui non venga scandagliata la sua immagine, e Sanremo non ha fatto eccezione. Nonostante una edizione in cui gli uomini hanno osato molto più delle donne, dalla nudità di Lauro, ai look rete da pesca di Irama, dalle gonne di Mahmood, alle mise eccentriche di Rkomi e Michele Bravi, è solo sulle donne che il giudizio si è concentrato non sui vestiti, non sulla scelta stilistica ma sul corpo. Nessuno ha detto che i muscoli di Giovanni Truppi non potevano “permettersi” una canottiera, non ci verrebbe nemmeno in mente, perché il corpo degli uomini non è in discussione. In compenso siamo qui a dover difendere le cosce di una donna e di un’artista che ha nel mondo dello spettacolo italiano fatto di tutto, riempito palazzetti, partecipato e vinto nei talent, recitato con registi di fama internazionale, e che ha spesso raccontato la sua storia. Eppure non basta, le cosce sono importanti, le cosce sono grosse, le cosce non sono all’altezza della situazione.
Si è scatenato il dibattito: per molti è un polverone esagerato, ci sono cose più serie, per altri abbiamo perso un’occasione per dimostrare al Paese che siamo fuori da quella piccineria pruriginosa che ci vuole tutte belle naturali, senza pretese ma col culo di Belen, rassicuranti come Antonella Clerici, vincenti e dimesse, giovani e mai rifatte, insomma, come recitava proprio una felpa del merchandising di Emma, sante e puttane. Quello che più di tutti fa sorridere è che alla domanda “e chi lo dice?” la risposta sia “IO”. Come se quell’IO fosse autorevole, come se fosse voce chiamata in causa nel processo di esibizione di se stesse, come se una come Emma Marrone, o come tutte noi, dovesse attendere la benedizione di altri per mostrare un corpo che È COSÌ COME È. Ho letto un tweet stamattina di un insegnante di liceo che diceva di vedere ogni giorno in aula gli effetti di quelle critiche fatte alle celebrità sulle facce e sulla pelle delle sue alunne e non so quanti anni debbano ancora passare prima che il buon senso, una figuraccia o un minimo di empatia ci costringano a interrogarci sull’opportunità di dire a chiunque abbiamo davanti che il suo corpo non va bene, prima che quell’IO ridimensioni il valore che si concede quando apre bocca sulla vita degli altri.
L’esposizione direte voi, se fai questo lavoro devi metterlo in conto, ma torniamo al primo punto senza passare dal via: questi artisti li volete umani con un corpo, un cuore, dei sentimenti e delle emozioni vere o volete delle macchine progettate per il business e con nessuna relazione con il pubblico? Perché ai primi un giudizio così fa male, e ai secondi scivola addosso come fosse acqua tiepida e trecentomila visualizzazioni in più. In entrambi i casi, della nostra opinione basata sul nulla se ne fanno poco. Mi piacerebbe pensare che la “shitstorm” innescata dal commento di Davide Maggio sarà di monito per i suoi futuri emuli, ma non ho molte speranze, avremo altri IO giganteschi sulla nostra strada a cui dover rispondere. Prepariamoci dunque: spalle larghe, calze a rete e uno “Sti cazzi” pronto in tasca.