Buoni o cattivi? Fascisti o non politicizzati? Rivoluzionari o reazionari? Non fossimo ormai abituati alla consuetudine tutta italica di classificare ogni cosa in maniera rigida (con un manicheismo a cui non si sfugge), resteremmo piuttosto perplessi all'idea di bollare con una semplice definizione un movimento ampio e ancora "in fieri". Ma tant'è nell'era degli Scilipoti e degli Schettino, nell'era delle demonizzazioni "a prescindere", delle canonizzazioni del giorno dopo e delle riabilitazioni a posteriori.
E dunque, eccoci giunti al punto in cui gli schieramenti sembrano ben delineati e può dirsi superata la fase dello smarrimento e della "mediazione culturale, in cui ancora sembrava poter esserci spazio per alcune distinzioni nel merito (con il tentativo di preservare "la legittima e spontanea protesta popolare" dai tentativi di strumentalizzazione). Nel ritratto (quasi) definitivo il movimento assume caratteri chiari e per certi versi decisamente indigesti: una mobilitazione organica ad un'area politica (ahinoi) in ascesa che, seppur parte da presupposti condivisibili (le conseguenze concrete sul tessuto sociale di una crisi economica a lungo sottovalutata), allo stesso tempo è "funzionale" ad un preciso progetto politico – culturale. Un progetto che ha i tratti distintivi dell'attivismo di destra e del revanscismo autonomista allo stesso tempo, una mobilitazione capeggiata e strutturata da personaggi ben noti e decisamente "inquadrati" (quando non addirittura organici al potere politico). Una considerazione che del resto trova legittimazione dallo stesso atteggiamento dei "rappresentanti ufficiali" del movimento, i quali, con un repentino cambio di orientamento che non è certo sfuggito al "popolo della Rete", hanno abbandonato la linea del "nessuna appartenenza", per confermare sostanzialmente lo stretto legame con "chi ha sempre appoggiato le nostre rivendicazioni". Un abbraccio che arriva al punto da indicare in noti esponenti di Forza Nuova i referenti territoriali del Movimento dei Forconi.
Ma alla base delle nostre perplessità non vi è solo questa considerazione. Vi è la coscienza che non esistono eroi con i forconi, che strumentalizzare il disagio sociale è operazione triste e inaccettabile, che populismo, qualunquismo e demagogia sono "strumenti" della conservazione, non di certo della rivoluzione. E in un momento in cui il Paese è chiamato ad affrontare e sostenere scelte di grande impatto sociale, ecco che il "fronte del dissenso" sia armato dei forconi della reazione e delle forche giustizialiste è un lusso che non possiamo permetterci. Proprio perchè alcune rivendicazioni appaiono sacrosante e non meritano di essere confuse con la spicciola propaganda culturale. Proprio perchè è necessario che il Governo abbia di fronte interlocutori credibili e ragionevoli. Proprio perchè la protesta sociale e il malcontento dei contadini e degli operai rappresentano istanze con cui la politica deve necessariamente confrontarsi. Altro che Regno delle Due Sicilie e "nuova marcia dei camerati"…