"Qualcuno si è impadronito di me, sono distrutta". Una delle tante frasi pronunciate da Martina Patti per tentare di giustificare l'omicidio della figlia Elena Del Pozzo. Che, di giustificazioni, davvero non può davvero trovarne.
Come ci insegna la storia delle emozioni, non si diventa freddi assassini dalla sera alla mattina. L'idea di uccidere i figli si insinua in maniera tendenzialmente graduale nella mente e, nel momento esatto di maggior escalation e frustrazione, si presenta come criticamente fisiologica.
E quel picco di frustrazione è verosimile credere che sia avvenuto pensando all'ultima serata trascorsa da Elena in compagnia del padre Alessandro, della sua nuova compagna Laura e dei nonni paterni.
Unitamente alla consapevolezza della felicità che la bambina sembrava dimostrare quando frequentava la donna. Così, Martina ha azzerato le infinite opzioni a sua disposizione per risolvere il dramma personale.
Elena era probabilmente diventata per lei soltanto un'arma per ferire Alessandro. Dunque, come tale, poteva essere distrutta. Per questo motivo, per ucciderla, Martina si è svestita della sua condizione di madre e, quindi, si è spogliata dell'amore e dell'empatia nutrita. Perché, altrimenti, non avrebbe potuto rendersi artefice di un tale gesto.
La premeditazione
Non chiamatela follia. Come già disquisito, in questi casi si è portati a scomodare la follia perché è innaturale pensare che una madre possa uccidere la propria figlia dopo avergli donato la vita. Questo il motivo per il quale, anche per Martina, è stata avanzata richiesta di perizia psichiatrica.
Ma, in realtà, in questo caso, come in molti altri, non c’è follia. Non c'è raptus. Ma un elevato grado di premeditazione prima, durante e dopo l’omicidio. La Patti, madre mortale, prima ha preparato la pala e scavato la buca. Ha ucciso la figlia dopo averla prelevata dall'asilo e poi ha occultato il corpo.
Dopodiché, è ragionevole credere che abbia inevitabilmente ripulito se stessa e la scena del crimine. Perché, sia l’arma da taglio utilizzata – verosimilmente un coltello da cucina – sia l’intera dinamica omicidiaria, fanno presumere che il luogo ove è stato commesso il delitto fosse letteralmente imbrattato di sangue.
Per acquisire tali dati, però, sarà necessario attendere le evidenze scientifiche. Infine, la donna ha attuato tutta una serie di depistaggi finalizzati ad allontanare ogni sospetto. Compresa la messa in scena della rapina a mano armata.
Il movente
"La bimba ha mangiato un budino e guardato i cartoni, poi l'ho colpita con forza". Una frase agghiacciante che testimonia la ferocia con la quale Martina ha inveito nei confronti della sua bambina. Quella stessa figlia ripresa mentre la abbraccia all'uscita dall'asilo. V come vendetta.
Questo potrebbe il movente dopo le prime indagini. Come accade nella maggior parte degli infanticidi e dei figlicidi.
Martina potrebbe aver identificato l’omicidio di Elena come unica via d’uscita per il riparare i torti indebitamente inflitteli: prima la nuova vita dell’ex compagno Alessandro, e dopo l’affetto che probabilmente la bambina iniziava a nutrire nei confronti di Laura, la nuova compagna del padre.
Un oltraggio inaccettabile.