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“Non capirono il rifiuto”, assolti dal reato di violenza sessuale: “Per il giudice il no non bastava”

Gli imputati sono stati assolti in primo grado dal Tribunale di Firenze con la formula di “errore sul fatto che costituisce reato”. Rabbia della vittima “Potrei aver detto sì venti volte senza per questo togliere valore al mio no”.
A cura di Antonio Palma
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Per il giudice il mio no non bastava”, si dice sconvolta e offesa la giovane ragazza toscana che, dopo aver denunciato di essere sta vittima di una violenza sessuale da parte di alcuni suoi ex compagni di scuola, nei mesi scorsi ha visto i giovani assolti con una strana motivazione che fa riferimento alla mancata comprensione del rifiuto da parte degli imputati.

Tutto era iniziato nel settembre di cinque anni fa quando la giovane, allora 18enne, aveva denunciato tre coetanei dopo una festa privata in una villa in campagna, in provincia di Firenze. Dopo le indagini e un lungo processo, nel marzo scorso due degli imputati, appena maggiorenni all'epoca dei fatti, erano stati assolti in primo grado con la formula di “errore sul fatto che costituisce reato". Per il terzo invece aveva proceduto il tribunale per i minori.

Per il giudice in pratica la violenza sessuale di gruppo vi sarebbe stata ma non sarebbe stata voluta ma indotta involontariamente dall’errata percezione del no della vittima. Come si legge nelle motivazioni pubblicate lo scorso mese di agosto, il giudice riconosce che gli imputati avevano “una concezione assai distorta del sesso” ma lo vede come una attenuante ritenendo che questo li abbia indotti a sbagliare “nel ritenere sussistente il consenso della ragazza”.

Per il giudice i due avrebbero posto “in essere una condotta certamente incauta, ma non con la piena consapevolezza della mancanza di consenso della ragazza o della sua preponderante alterazione psicofisica". “Tale errata percezione – conclude il giudice – se non cancella l’esistenza oggettiva di una condotta di violenza sessuale, impedisce di ritenere penalmente rilevante la loro condotta, proprio per la presenza di un errore determinato da colpa su un elemento negativo del fatto previsto dalla legge come reato".

Un errore appunto ma non un reato. Alla base di tutto il ragionamento del giudice, però, vi sarebbe anche il comportamento della stessa vittima che in precedenza aveva avuto un rapporto consenziente con uno degli imputati. Una decisione sulla quale la vittima non riesce a darsi una spiegazione. “Evidentemente i trascorsi di una persona sono un fattore determinante nel momento in cui questa deve esprimere consenso o dissenso” ha dichiarato a Repubblica, aggiungendo: “Non dovrei poter dire sì venti volte senza per questo togliere valore al no?”.

"La trovo vergognosa, sentenze come questa non aiutano chi cerca il coraggio di reagire. Vorrei che la mia storia portasse l’attenzione sull’importanza del valore che ha un no.  Non si dovrebbe permettere a nessuno di dirci come sia giusto reagire” ha concluso la ragazza.

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