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Nicoleta Rotaru uccisa dall’ex marito, lei aveva più di mille audio delle violenze: “Registrato per anni”

Nel cellulare di Nicoleta Rotaru, la 39enne uccisa dall’ex marito Erik Zorzi il 2 agosto 2023 nella sua casa di Abano Terme aveva migliaia di registrazioni in cui l’uomo la insultava e minacciava. Tra gli audio, anche quello del suo omicidio, la prova che ha permesso agli inquirenti di incastrare il 42enne.
A cura di Gabriella Mazzeo
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Aveva registrato l'ex marito per anni con il cellulare e nella memoria dello smartphone vi è più di una traccia audio che documenta le violenze che Nicoleta Rotaru era costretta a subire quotidianamente. Se non fosse stato per le insistenze delle avvocate Roberta Cerchiario e Tatiana Veja, quel cellulare scarico sarebbe rimasto ancora per molto tempo nel cassetto della caserma dei carabinieri.

Il dispositivo elettronico è finito nelle mani delle forze dell'ordine quasi subito, pochi giorni dopo il 2 agosto del 2023, quando la morte di Nicoleta Rotaru era ancora raccontata come un suicidio. Eppure i dettagli sospetti di quel decesso avevano convinto gli inquirenti ad approfondire alcuni aspetti come quello relativo al pannello della porta del bagno smontato e rimontato per far apparire il chiavistello chiuso dall'interno e il contenuto dello smartphone della donna. Quasi una prassi in casi come questo, ma l'insistenza delle legali di Rotaru ha fatto sì che il cellulare venisse acceso e che Erik Zorzi finisse in galera.

Nel cellulare di Nicoleta, infatti. è stata trovata solo il 13 marzo la registrazione della notte dell'omicidio, quella in cui lei chiede all'ex marito di smetterla durante una lotta che forse ha preceduto la morte della 39enne. Solo il 20 marzo di quest'anno Erik Zorzi è finito in cella dopo quasi 365 giorni in cui il decesso della 39enne è stato descritto e trattato come un suicidio.

Nicoleta Rotaru
Nicoleta Rotaru

Roberta Cerchiaro e Tatiana Veja, le legali che seguono la famiglia di Nicoleta Rotaru, hanno raccontato che l'audio che rappresenta la prova schiacciante dell'omicidio inizia la sera del 1 agosto e finisce alle 7 del mattino del 2, ma che il dispositivo elettronico ha continuato a registrare per ore dopo il decesso, anche nella caserma dei carabinieri mentre era in carica. Nella memoria del telefono vi sono però altri 1000 audio che Nicoleta aveva registrato negli anni: voleva tutelarsi in caso di denuncia, una volta allontanatasi dalla casa del 42enne insieme alle due figliolette.

In tutte le registrazioni si sente Zorzi che la insulta perché tornava tardi dal lavoro, perché era vestita in un certo modo o perché voleva uscire e lui voleva restare a casa. Gli improperi proferiti dal 42enne nei confronti della moglie che voleva vedere le amiche (spesso anche davanti alle figlie) appaiono in tutte le tracce audio. In alcune, invece, l'uomo insultava le figliolette usando gli stessi appellativi riservati alla madre.

Nell'interrogatorio in carcere dell'8 luglio scorso, a Zorzi sono stati fatti ascoltare tutti gli audio. Il 42enne si è sempre autoassolto. "Qui è perché lei mi provocava -dice agli  inquirenti -. Mi diceva:'Ti dico quello che faccio e basta'. Ho esagerato ma ero esaurito". Anche per gli insulti alla figlia minore sembrava avere una scusa. "Se io da padre vengo trattato come un animale, allora mi rivolgo così a mia figlia".

L'iferno che Nicoleta Rotaru viveva tutti i giorni lo conoscevano bene anche le colleghe della pelletteria in cui lei lavorava a Selvazzano Dentro. Lo sapeva anche il datore di lavoro, che parla di lei come una figlia e che ha raccontato ai media le violenze alle quali ha assistito con le lacrime agli occhi. "Veniva al lavoro con ferite, escoriazioni molto gravi. Ci faceva sentire gli audio in cui lui urlava. Il giorno prima di morire ha raccontato che mentre riposava a letto, lui la fissava – spiega Maurizio Giaron -. Era ossessionato e lei piangeva. Quando le dicevamo di denunciare, ci diceva di avere paura perché vivevano nella stessa casa. È venuto anche dopo la sua morte per ritirare il suo stipendio".

"Qualche giorno dopo il funerale, sono andato al cimitero a trovarla – racconta -. La sua tomba era distrutta, la foto era rotta e i fiori coprivano il nome. Il custode ci ha detto che era stato Zorzi. Noi non abbiamo le prove, ma di lui non ci siamo mai fidati".

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