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Cambiamenti climatici

“Nessuna regione italiana è immune ad alluvioni come quella di Valencia”. L’analisi del geologo

Antonello Fiore, presidente della Società Italiana di Geologia ambientale (SIGEA), spiega per quale ragione nessun territorio italiano è immune ad eventi catastrofici come quello avvenuto in Spagna negli ultimi giorni.
Intervista a Antonello Fiore
Presidente della Società Italiana di Geologia ambientale (SIGEA)
A cura di Davide Falcioni
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Nessuna delle venti regioni italiane è stata risparmiata negli ultimi cinquant'anni da eventi come frane e inondazioni. E nessuna in futuro potrà dirsi immune a catastrofi come quella che si è verificata in Spagna nella Provincia di Valencia. A dirlo, intervistato da Fanpage.it, il dottor Antonello Fiore, presidente della Società Italiana di Geologia ambientale (SIGEA), il quale ricorda che secondo l'ultimo rapporto Polaris del CNR Irpi le vittime accertate nel nostro Paese negli ultimi decenni sono state migliaia.

Il prevedibile aumento degli eventi meteo estremi rischia di far crescere drasticamente il numero di morti, feriti e sfollati. Gli effetti del cambiamento climatico, infatti, si sommano a una pessima gestione del territorio, con un consumo di suolo in costante aumento e scelte politiche tutte volte alla realizzazioni di infrastrutture "spot" (come la TAV e il ponte sullo Stretto di Messina) a scapito dell'unica grande opera necessaria: la messa in sicurezza di un territorio fragile e vulnerabile.

Dal punto di vista geomorfologico cosa è accaduto in Spagna negli ultimi giorni?

Proviamo a fare un esercizio di osservazione. Guardiamo dall'alto il territorio spagnolo interessato dalle intense precipitazione degli ultimi giorni: vediamo che ci sono delle montagne, dei corsi d'acqua e il mare. I fiumi hanno la funzione di trasportare l'acqua dalle aree interne verso le coste; la fascia pianeggiante che c'è tra i monti e il mare – che è in generale esposta a eventi alluvionali – è caratterizzata da aree fortemente urbanizzate e molto prossime ai corsi d'acqua. Ogni volta che si crea una situazione di questo tipo, in Spagna come in Italia e nel resto del mondo, il rischio di alluvioni catastrofiche è molto elevato.

L'Italia ha caratteristiche simili. Gli Appennini, le Alpi, poi le zone collinari e infine le pianure urbanizzate che portano al mare.

Esatto. Le caratteristiche del territorio sono simili. Dagli Appennini centinaia di corsi d'acqua si dirigono verso il Mar Adriatico e Tirreno, ma anche l'arco alpino ha il potenziare di produrre alluvioni. Ricordo uno degli ultimi eventi, quello di Limone Piemonte dell'ottobre del 2020, quando caddero 549 millimetri di acqua nell'arco di una giornata, un dato simile a quello spagnolo. L'Italia, come la Spagna, il nord Africa e la Grecia, si trova all'interno del bacino mediterraneo, che come è ormai noto è un hotspot del cambiamento climatico. Quando piogge intense si concentrano in un limitato lasso di tempo e incontrano un suolo già saturo d'acqua o impermeabilizzato dalle opere umane è chiaro che le conseguenze non possono che essere drammatiche.

Cosa dicono i dati storici sulle frane e le inondazioni che si sono abbattute sull'Italia?

Secondo il rapporto Polaris del CNR Irpi dal 1973 al 2022 in Italia sono morti a causa delle frane 1.077 persone; i feriti sono 1.443 e gli evacuati 144mila. Per le inondazioni nello stesso periodo contiamo 547 morti, 427 feriti e 159mila evacuati. Nessuna delle venti regioni e 107 province italiane è stata risparmiata da eventi di questo tipo. Insomma, se osserviamo i dati recenti scopriamo che tutto il territorio del nostro Paese può essere interessato da eventi come alluvioni e frane con gravi danni economici e sociali.

Eppure il consumo di suolo non si arresta. Secondo l'ultimo report dell'Ispra nel 2022 sono stati "cementificati" 22 ettari al giorno.   

Il presidente dell'Ispra Stefano Laporta lo scorso settembre ha confermato quel dato: in Italia si consumano più di 2 metri quadri di suolo al secondo, un numero che in alcune zone è addirittura aumentato. Si fa esattamente il contrario di quello che gli scienziati indicano. Ormai non solo il consumo di suolo va fermato, ma deve essere valutata la "rinaturalizzazione", laddove possibile. Nel nostro Paese c'è un numero immenso di edifici abbandonati che costituiscono solo un problema e un potenziale pericolo. In alcune aree inoltre va rivista integralmente la pianificazione urbanistica.

Cosa intende?

Che alcune zone sono state urbanizzate con calcoli di carattere idraulico basati sulle piogge storiche. Alla luce dei cambiamenti climatici e degli eventi estremi tuttavia questi dati sono ormai obsoleti. Attenzione, gli eventi estremi sono ormai una costante nel nostro Paese. Oltre a Limone Piemonte ci sono stati eventi con gravi conseguenze a Ischia, nelle Marche, in Toscana, le tre alluvioni in un anno e mezzo in Emilia Romagna, in Sardegna, in Sicilia, in Puglia e molto altro. Nessuna regione è immune. Eppure da tre legislature il Parlamento non è in grado di approvare una norma che fermi il consumo di suolo. E non solo: dobbiamo avere il coraggio di dire che in un futuro non lontano alcune aree del nostro Paese andranno delocalizzate perché non saranno più sicure.

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Dal nord al sud, dalla Tav al Ponte sullo Stretto di Messina, l'Italia è il Paese delle grandi opere costosissime e spesso incompiute. Ma alla luce degli eventi estremi causati dal cambiamento climatico non sarebbe più utile che la politica si concentri su un'unica grande opera, la messa in sicurezza del territorio italiano? 

La messa in sicurezza del territorio italiano dovrebbe essere una priorità della politica, sia per la tutela della vita delle persone che per la difesa delle attività produttive visto che ad ogni alluvione si contano danni miliardari. Non sempre servono grandi opere ingegneristiche, spesso è necessario pianificare "piccoli" interventi di gestione del territorio, ad esempio incentivi per il ripopolamento delle aree interne spesso abbandonate.

E quali sarebbero i costi economici di questa "grande opera" di messa in sicurezza del territorio?

Secondo l'ultimo rapporto ReNDiS al novembre del 2020 le richieste di finanziamento per le sole opere strutturali erano 7.800 per un importo complessivo di oltre 26 miliardi di euro. Questo dato rappresenta, in prima approssimazione, una stima del fabbisogno teorico per la messa in sicurezza dell’intero territorio nazionale, da attuarsi attraverso piani pluriennali di finanziamento. Negli ultimi 25 anni abbiamo speso 17 miliardi per eventi post emergenziali dovuti a eventi di dissesto idrogeologico come alluvione e frane, senza tener conto dei costi sociali delle vittime.

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