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Covid 19

Nessun virologo ed esperto di Covid è favorevole alle riaperture di maggio

Mentre il governo pianifica la roadmap delle graduali riaperture, che dovrebbero partire dal prossimo 26 aprile, tra virologi ed esperti Covid non manca la preoccupazione. Da Crisanti a Galli, da Pregliasco a Burioni, l’allarme per il rischio dovuto all’allentamento delle misure restrittive: “Decisione politica, temiamo la diffusione dell’infezione”.
A cura di Ida Artiaco
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A partire dal 26 aprile l'Italia comincerà gradualmente a dare il via alle riaperture delle attività economiche dopo mesi di restrizioni anti Covid. Lo ha annunciato il presidente del Consiglio, Mario Draghi, illustrando una roadmap con le date del processo di allentamento delle misure fino ad ora osservate pur mantenendo l'obbligo di mascherina e di distanziamento e nel continuo confronto con l'andamento della situazione epidemiologica da un lato e quello della campagna vaccinale dall'altro. Tuttavia, la maggior parte degli esperti non sembra essere d'accordo con questa decisione, dal momento che le vaccinazioni procedono più lentamente di quanto prospettato e che ci sono ancora 15mila contagi e centinaia di morti al giorno per il Coronavirus.

Tra i primi a lanciare l'allarme c'è Andrea Crisanti. Il professore di microbiologia dell'Università di Padova ha tuonato direttamente contro l'esecutivo. "I numeri non giustificano queste mosse. Purtroppo siamo governati da persone che non hanno strumenti conoscitivi giusti e nel Cts le persone ragionevoli sono in minoranza", ha tuonato questa mattina intervenendo in diretta su Radio Capital, aggiungendo che "non si vaccina con alti livelli di trasmissione perché si selezionano varianti resistenti al virus. È un azzardo biologico. Bisogna fare come l'Inghilterra: diminuire le possibilità di contatto, vaccinare quante più persone è possibile e varare un programma di sorveglianza sulle varianti". Stessa mossa di Massimo Galli, infettivologo e primario dell'ospedale Sacco di Milano: "Mario Draghi sulla pandemia non ne ha azzeccata ancora una – ha dichiarato al Fatto Quotidiano -. A me piacerebbe tantissimo far parte della schiera che pensa l’Italia sia messa benissimo, ma purtroppo non è così. Temo la diffusione dell’infezione. Abbiamo per mesi giocato coi colori e in Sardegna abbiamo recentemente visto il risultato più impietoso passando in pochissimo tempo dal bianco al rosso. E ora eccoci qui a dare un segnale di riapertura generalizzata mentre le infezioni attive nel Paese sono tra il mezzo milione e il milione. E queste sono stime conservative: non tutti i positivi fanno il tampone e scoprono di esserlo".

E mentre Roberto Burioni, virologo del San Raffaele di Milano, ha ribadito su Twitter che "la decisione di riaprire è una decisione politica e non scientifica, se ci comportiamo da idioti potremmo perdere la libertà molto a breve per riacquistarla chissà quando, con relativi danni sociali, economici e culturali", anche Fabrizio Pregliasco, dell'Università di Milano, ha spiegato che "il rischio c'è ed è oggettivo e dipende da tante cose: in particolare dalla rapidità delle vaccinazioni, nonché dalla responsabilità di tutti noi". Pregliasco ha ricordato come il premier Mario Draghi abbia parlato di "rischio ragionato. Ma la decisione sulle riaperture sicuramente potrà avere un prezzo da pagare". Anche la Federazione degli Ordini dei medici e degli odontoiatri (Fnomceo) ha lanciato l'allarme: "I cittadini sono stanchi, l'impressione che abbiamo è che il Paese non regga più ed è quindi comprensibile che il governo provi a dare una risposta – ha detto il presidente Filippo Anelli -. I medici però sono preoccupati perché la variante inglese che è quella predominante in Italia ha un livello di diffusione molto alto anche rispetto al Covid classico e i livelli di occupazione delle rianimazioni sono ancora abbastanza alti. Se da una parte è comprensibile che il governo faccia qualcosa per dare delle risposte, bisogna anche esprimere il timore che questa situazione possa in qualche maniera sfuggirci di mano".

Meno pessimista Gianni Rezza, direttore della Prevenzione del Ministero della Salute oltre che membro del Comitato tecnico scientifico, per il quale "riaprire è un rischio ma siamo pronti a intervenire grazie ad un sistema di allerta precoce. Due o tre settimane decisive". Dello stesso avviso Matteo Bassetti, direttore della Clinica di Malattie infettive dell’ospedale San Martino di Genova: "È chiaro – ha dichiarato – che non c’è per questo tipo di decisioni il rischio zero, bisogna fare attenzione e monitorare, nelle aree dove le misure non vengono rispettate si deve tornare alla zona rossa. I furbi che non rispettano i protocolli vanno sanzionati subito".

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