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“O’ killer” neomelodico, la canzone degli aspiranti criminali

Le canzoni neomelodiche e il loro legame con la la ciminalità organizzata. “O’ Killer” è uno dei must di chi vuole diventare un ragazzo del sistema.
A cura di Marcello Ravveduto
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‘O Killer di Gino Del Miro è la canzone capostipite del genere neomelodico-criminal.

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Il brano comincia con una conversazione telefonica. Al telefono il killer,"Giggino" (l’identificazione tra cantante e protagonista è assoluta), confessa alla madre che, dopo vent’anni di sacrifici, vuole uscire dal gioco: la famiglia viene prima di tutto, anche prima della professione. Nella solitudine della latitanza guarda con orrore le mani sporche di sanguee la paura di morire lo annichilisce. A che serve aver comprato una villa al mare e una casa in montagna se non può goderle con i suoi cari? Giggino da un lato è pronto ad espiare le sue colpe per il bene della famiglia;  dall’altro lato cerca di impietosire gli ascoltatori con la trepidazione del carcere e della morte. Qual è il messaggio?La vita del killer professionista è pericolosa, però con i soldi guadagnati si può riscattare la condizione di povertà e, se si è assistiti dalla fortuna, dopo vent’anni sei ancora vivo.D’altro canto, ogni “mestiere” ha i suoi rischi. Alla fine Giggino prende la sua decisione: chiama il boss è rinuncia all’incarico. Immediatamente parte un commando che lo intercetta e lo finisce.

Gianni Vezzosi ha reinterpretato la canzone.

Il killer vive in casa con la sua famiglia – una moglie e due figli – come se fosse un impiegato qualsiasi. In realtà è un dipendente del boss che, su auto potenti e motociclette di grossa cilindrata, conduce il suo commando in luogo prestabiliti per eseguire le sentenze di morte con fredda razionalità: gli altri vanno avanti e sparano, poi arriva lui e dà il colpo di grazia. Ma i volti delle vittime, dopo sette anni, sono diventatiil suo tormento. Si accorge di essere “nu male guaglione” e segue la voce della coscienza che si ribella alla legge del sangue. La versione di Vezzosi stravolgela sceneggiata di Del Miro. Niente mammà sofferente, nessuna atmosfera da vicolo, niente pathos stereotipato, fine del vittimismo. Del resto i contesti criminali sono diversi: Giggino è un napoletano di mezza età che riceve dal camorrista un singolo incarico; il killer di Vezzosi è, invece, un giovane siciliano appartenente a Cosa nostra. Il suo ingresso viene sancito con un rito di affiliazione. La cerimonia è sottolineata nel video dalla colonna sonora di Matrix. Il protagonista, proprio come Neo, sta compiendo una scelta irrevocabile.

Il padrino, a differenza di Morpheus, non gli sta offrendo la libertà dalla schiavitù delle macchine ma una nuova forma di coercizione a cui sottostare. Quando il killer si renderà conto di aver fatto la scelta sbagliata sarà troppo tardi. Eppure la rivolta interiore lo spinge a rifiutare un altro sacrificio di sangue, restituendo la pistola. A questo punto il circuito si interrompe: riprende il tema di Matrix che annuncia l’esecuzione del traditore davanti agli occhi della moglie. Chi entra in Matrix non può uscirne proprio come chi sceglie di servire la mafia. Cosa si può dedurre dal confronto? La camorra non ha riti di affiliazione, il rapporto di subordinazione è una scelta autonoma. In Cosa nostra, invece, dopo l’affiliazione si diventa tutt’uno con l’organizzazione, di cui il padrino è il custode, fondata su tre pilastri: la fedeltà della religione, l’onore del sangue, il coraggio del fuoco.

I due protagonisti reagiscono ai morsi della coscienza in modo diverso: Giggino ha raggiunto il benessere e vuole godersi il patrimonio accumulato con la famiglia (vuole la meritata “pensione”); il secondo sente di vivere nel peccato e trova la forza per sottrarsi al vincolo mafioso. Entrambi, però, hanno preso coscienza di essere uomini spietati: le vittime non sono altro che incarichi da smaltire. Basta una fotografia e un gruzzolo di denaro in contanti per ammutolire ogni eventuale rimorso. Meno si sa della vittima e meglio è per non correre il rischio di rintracciare legami di paratela o di amicizia che potrebbero turbare l’impeccabile stile professionale. Affiliati di camorra, trafficanti di droga, mercanti della contraffazione, collaboratori di giustizia, familiari dei nemici vanno abbattuti al minimo sospetto. Qualcuno è innocente ma non fa niente, tanto non conta nulla. Come automi partono verso l’obbiettivo. Si danno forza tirando cocaina. Sfrecciano nel traffico a velocità impressionati scatenando l’adrenalina. Arrivano sul posto, quattro botte: pam, pam, pam, pam e via! Toccherà agli inquirenti ricostruire il movente. Tornano nelle loro tane tra i palazzi dei quartieri-slums, invisibili predatori della giungla urbana meridionale. Salutano gli amici davanti al bar, scambiano quattro chiacchiere, ridono forte per farsi sentire. La gente del rione li conosce, vivono in mezzo a loro come tanti altri giovani che praticano i mille mestieri di strada per tirare a campare.

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