Nelle Marche le donne non possono più abortire: “Rivedere legge 194, abolire obiezione di coscienza”
Nelle Marche ormai è impossibile abortire. Nella regione dove l'obiezione di coscienza ha raggiunto numeri preoccupanti e dove le donne incontrano una totale chiusura da parte del personale sanitario, il movimento transfemminista Non Una di Meno è sceso in piazza per rivendicare l'aborto libero, gratuito e sicuro. ‘Interruzione volontaria di patriarcato', lo slogan che 10mila persone hanno urlato a gran voce, tra panueli fucsia, musica e corpi liberati.
"Non c'è più tempo – spiega Marte Manca, attivista di Nudm Marche – è assolutamente urgente puntare l'attenzione sull'emergenza strutturale sanitaria. Le Marche hanno raggiunto in soli due anni l'81% di obiettori, è un numero spaventoso”.
L'ultimo campanello d'allarme nella regione adriatica è scattato tra febbraio e marzo con la fine di due convenzioni, ad Ascoli e Ancona, che permettevano di garantire un servizio minimo per l'accesso all'interruzione volontaria di gravidanza. "Sono saliti a tre (su undici) gli ospedali con obiezione di struttura, ossia dov'è impossibile abortire: sono sempre più le donne costrette ad andare fuori regione, a loro spese e sovraccaricando le altre strutture", denuncia Marte prima di salire sul furgone, impugnare il microfono e dare il via al corteo con il primo intervento della giornata.
Un corteo molto partecipato e reattivo, con in strada almeno tre diverse generazioni, in bella mostra striscioni e cartelli, dall'intramontabile classico ‘il corpo è mio e lo gestisco io‘ alla processione della ‘santa vulva', che già tanto scalpore aveva destato a Padova così come nel resto d'Italia.
L'atmosfera è vivace, ma tutti hanno ben chiara la gravità della situazione che li ha portati ad andare in piazza: "Siamo scese apposta in macchina da Bologna – racconta Marta, giovane lavoratrice di origini abruzzesi – perché oggi avviene qua, ma domani? È un problema comune di tutte e non lasceremo indietro nessuna".
Ilenia invece è una marchigiana trapiantata in Umbria, altra regione usata come ‘banco di prova’ per l’opera di graduale riduzione di servizi relativi ai diritti sessuali e riproduttivi delle donne. Nel 2020 suscitò accese proteste la decisione della Regione, guidata dalla governatrice della Lega Nord Donatella Tesei, di imporre un ricovero di tre giorni per l’assunzione della pillola RU486, nonostante la Società italiana di ginecologia e ostetricia consigliasse l’aborto farmacologico in day hospital.
“Quello che si fatica a far capire – spiega – è che l’ivg non riguarda solo chi non vuole figli, ma anche chi non può portare avanti la gravidanza per motivi di salute e deve procedere con un aborto terapeutico. Non solo non sono applicate le nuove linee di indirizzo dell’ivg farmacologica, ma nelle Marche i soldi pubblici (950mila euro, legge regionale DGR 1271/2021, ndr) vengono spesi per finanziare centri per la vita e associazioni antiabortiste, è assurdo”.
Tra gli obiettivi principali, quello di agire sulla legge 194. “Non intendo abolire né modificare la legge 194. In che lingua ve lo devo dire? Voglio applicare la legge 194”, sosteneva la premier Meloni al programma di La7 Non è l’Arena. Questa apparente apertura della Presidente del Consiglio dimostra, di fatto, l’intenzione che nulla cambi dell’attuale situazione. Ciò che le donne ormai sostengono da anni è che la legge del 22 maggio 1978 non sia più sufficiente a garantire quel diritto all’aborto che negli anni ’70 fece scendere in piazza milioni di persone e deve quindi essere modificata, a partire dal ruolo degli obiettori, con l'abolizione dell'articolo 9.
Tra le altre richieste, la cancellazione della finestra obbligatoria dei sette giorni di riflessione, la somministrazione della pillola RU486 in tutti gli ospedali e i consultori e l’effettiva estensione dei tempi di assunzione, da sette a nove settimane, come previsto dalla circolare del Ministero della salute.