Nelle Marche l’aborto è un miraggio: “Donne costrette a cambiare regione, negata la RU486”
La nostra redazione raccoglie lettere e testimonianze di donne cui è stato negato o reso difficle l'accesso all'aborto. Decidiamo di raccontarle non per restituire un'immagine vittimizzante di queste esperienze, ma per aprire una riflessione sulla pervasività della violenza di genere, e sulla necessità di dare valore alla parola autodeterminazione. Se volete raccontare la vostra storia, potete farlo cliccando qui.
"A settembre una ragazza è andata al consultorio per avviare le pratiche per interrompere la gravidanza. La psicologa le ha fatto compilare un modulo in cui doveva spiegare perché voleva abortire, cosa la spingeva a farlo. Le ha detto che se non rispondeva non le avrebbero fatto il certificato. Ha provato ad andare in un altro consultorio, ma lì le hanno risposto che garantivano le nascite, non gli aborti. Ha chiamato l'ospedale di un altra provincia, ma le hanno detto che non facevano il farmacologico, solo il chirurgico. Si è rivolta allora a un altro ospedale, ma quella settimana la ginecologa non c'era. Alla fine riesce a farsi fare il certificato in un altro consultorio, ma le dicono che per abortire deve andare in un'altra provincia. A quel punto le sono rimaste solo 48 ore per fare il farmacologico perché è arrivata quasi alla fine della settima settimana. Ma la ginecologa non ha voluto fare il certificato d'urgenza, quindi non ha potuto avere la Ru486. Questa ragazza cercava di abortire dal 10 agosto: è riuscita a farlo solo i primi di settembre".
Marte Manca è un attivista transfemminista della rete italiana contraccezione aborto Pro-choice. Da anni attivo nelle lotte sociali, si occupa di accompagnare e dare sostegno a chi vuole interrompere la gravidanza. La storia che ci ha raccontato non è purtroppo isolata: è una fotografia di quello che avviene nelle Marche, la regione laboratorio della destra dove abortire è difficilissimo. "Solo nel 2024 ho assistito sessantanove ragazze che hanno vissuto la stessa situazione in province diverse. È una corsa contro il tempo, tanto che molte preferiscono andare fuori regione, o in Umbria o nel Lazio. E una cosa del genere non è accettabile".
Nelle Marche l'obiezione raggiunge livelli molto alti. Su 66 consultori attivi nella regione, aperti in media undici ore a settimana, nemmeno la metà garantisce il certificato per l'Ivg. In sette strutture l'obiezione raggiunge il 100%, in diciotto la percentuale oscilla tra il 40 e il 67%. Solo in nove consultori il personale garantisce la libertà di scelta. Ma c'è un altro problema, la cui rilevanza non è di poco conto: a differenza del resto d'Italia, dove la RU486 è ammessa fino alla nona settimana, nelle Marche l'Ivg farmacologica è garantita solo fino alla settima. Si tratta di un tempo brevissimo, insufficiente, e non giustificato da motivi medici. "Nelle Marche la RU486 non viene data in regime ambulatoriale – spiega Marte – Nel 2016 una delibera aveva stabilito che l'aborto farmacologico veniva introdotto ma in fase sperimentale fino alle sette settimane. Ecco, nel 2024 questa sperimentazione è ancora in corso. È una questione politica, non sanitaria, dato che è chiaramente un modo per restringere e limitare l'Ivg farmacologico. A sette settimane molte donne nemmeno sanno di essere incinte. Così molte sono costrette ad accedere solo all'aborto chirurgico, negando loro la possibilità di scelta. E vengono anche colpevolizzate perché non se ne sono accorte prima".
Come accade ormai in molte regioni, l'aborto non viene negato formalmente, ma reso estremamente complicato. "Non ti dicono che non puoi interrompere la gravidanza, ma cercano in tutti i modi di ostacolarti – prosegue Marte -. Nelle Marche poi, c'è una delibera che stabilisce che il certificato di Ivg si può fare solo nella provincia di residenza. La legge 194 non dice questo, ma nelle Marche lo fanno. Qui le province sono piccole, molte donne non se la sentono di fare il certificato dove risiedono, quindi vanno in un'altra provincia. Ma se ad esempio da Macerata vai a Fermo, cercano di non dartelo. Abbiamo sollevato questo problema nel 2020: da allora hanno provato a tamponare facendo una convenzione tra la Asl di Fermo (all'epoca con obiezione al 100%) e quella di Macerata, in cui si stabiliva che le due province potevano essere interscambiabili. Ma nelle Asl succede che molti operatori danno gli gnorri, altri ci marciano e dicono che non puoi fare lì l'Ivg. Molti non vogliono accettare il certificato telematico, dicendo che lo vogliono stampato. Quindi devi aspettare o metterti a litigare, perdendo tempo e salute psicologica. E così, anche se dovessi accorgerti di essere incinta a cinque settimane, le sette si superano facilmente. Non c'è un divieto di abortire, ma nella pratica è tutto molto complicato". Cosa comporta questo? Che chi ne ha la possibilità si rivolge a privati, spendendo centinaia di euro e riuscendo così a interrompere la gravidanza in tempi umani. "E qui si apre la questione di classe, perché tante non hanno tutti questi soldi da spendere in questa circostanza", dice Marte.
Da tempo Marte e altrə attivistə sul territorio, si occupano di aiutare chi deve abortire, fornendo sia supporto logistico, sia psicologico. "Il primo contatto è in genere tramite i social: scrivono a me, oppure a Laiga194, o alla mail di Pro – choice. Chiediamo a quante settimane si è, e se si è fatto qualche esame. Capiamo la provincia e ci mettiamo in contatto con la ginecologa disponibile, con la quale la ragazza può fare un colloquio online nel giro di poco. Viene generato un certificato telematico, e forniamo una mappatura delle strutture alle quali ci si può rivolgere, completa dei vari feedback di chi c'è già stata. C'è poi tutta una parte in cui chiediamo se si hanno necessità, dubbi e domande, e diamo la documentazione sui vari metodi, chirurgico e farmacologico, per avere il consenso informato. Se la ragazza lo richiede, viene accompagnata fisicamente in ospedale, con un'attivista che la aspetta in sala d'attesa, pronta a intervenire nel caso vi siano problemi. È successo ad esempio qualche mese fa che una ragazza sia stata messa in stanza con delle partorienti: lei lo ha fatto presente all'attivista, che è andata a parlare con gli operatori per cercare di risolvere la questione e far valere i suoi diritti. Quando la persona viene poi accompagnata a casa, chiediamo un feedback sulla struttura, cosa che ci permette di capire cosa non va nel sistema sanitario".
Da tempo nelle Marche le attiviste pro choice hanno chiesto di innalzare a nove le settimane in cui poter procedere con l'aborto farmacologico. Per adesso però, non c'è stato un avanzamento da questo punto di vista. "Noi ovviamente continueremo a lottare affinché le cose cambino, in modo che non venga messa in discussione l'autodeterminazione delle persone che scelgono di non portare avanti una gravidanza – conclude Manca – Abortire non deve essere uno stigma o un percorso a ostacoli, ma una libera scelta che non va messa in discussione".