Nella fiction Gomorra, Napoli è come “Sin city”
La catena di sequenza è la stessa: romanzo, film, fiction. Il regista anche è lo stesso: Sergio Sollima. Pure il produttore è identico: Sky tv. Insomma il tentativo, nemmeno troppo velato, è bissare il successo di Romanzo Criminale. Ieri la Roma degli anni Settanta, oggi la Napoli del Duemila. Ormai l’avrete capito, mi sto riferendo al serial televisivo Gomorra, in onda da maggio sul canale Sky Atlantic dedicato alle fiction. L’emittente ha già cominciato il battage pubblicitario. Su Youtube è stato caricato il trailer con un commento entusiastico per la collaborazione di Saviano alla scrittura del soggetto.
Il messaggio promozionale recita: “Ci sono luoghi dove il male ha un nome antico come la Bibbia: Gomorra. Le colpe dei padri ricadono sui figli. Il sangue chiama sangue. Il male è tra noi”. La frase si compone alternandosi alle immagini di Scampia, del traffico di droga, di esecuzioni mortali, di stragi, di ambienti lussuriosi eccitando nel telespettatore la suspense in attesa del momento in cui affronterà, seduto comodamente sul divano di casa, la discesa nell’inferno napoletano.
L’esistenza di una Gomorra italiana, su cui scaricare il senso di colpa collettivo di una nazione cattolica macchiatasi di indicibili peccati, serve a rassicurare i benpensanti sulla questione camorra: il problema riguarda quei quattro pezzenti di Scampia la cui inusitata violenza conferma lo stato di minorità civile dei napoletani e il luogo comune del “Paradiso abitato da diavoli”. Scampia, dunque, appare l’epicentro di un’epidemia che Saviano ha più volte paragonato alla peste. Una bella immagine letteraria che, purtroppo, produce una mortificante semplificazione: la comunità si divide tra untori e appestati con il risultato di presentare una quartiere, una città, una regione come una terra in perenne quarantena, da cui stare alla larga per evitare il contagio (tuttavia, se pensiamo alla terra dei fuochi la metafora rischia di essere più reale della realtà).
Mi pare, dopo aver guardato le scene del trailer, che il regista abbia compiuto una raffinata operazione narrativa: l’effetto patinato e i colori pastello (leggermente sbiaditi) delle immagini digitali, congiunti alla contestuale dilatazione dei tempi di successione dei fotogrammi, producono la suggestione della graphic novel. Scampia come Sin city; la città del peccato in cui il male ha una logica perversa ma affascinate, un vortice che risucchia lo spettatore con il magnetismo suadente del noir. Non bisogna dimenticare che il protagonista occulto della storia è Paolo Di Lauro, alias Ciruzzo ‘o milionario, che ha inaugurato la stagione del franchising criminale: il boss come un top manager si occupa dei grandi traffici, degli investimenti produttivi, dell’approvvigionamento delle scorte, della vendita all’ingrosso, apponendo il marchio di famiglia come garanzia di qualità. Tra Di Lauro e i suoi gregari si stabilisce un rapporto di affiliazione commerciale che ha trasformato il clan nella “Benetton” della camorra: una impresa multinazionale, con un forte radicamento territoriale, il cui consiglio d’amministrazione affida le scelte strategiche all’amministratore delegato e lascia l’attività ordinaria alla rete dei dettaglianti.
Le cellule territoriali del clan si strutturano come dei “punti vendita”: ognuno con un direttore, un commesso, un cassiere e un magazziniere che percepiscono lo stipendio a seconda della mansione. Può capitare, però, che alcuni gestori della vendita al dettaglio, dopo una lunga gavetta, aspirino all’autonomia, utilizzando le conoscenze acquisite e il denaro accumulato per mettersi in proprio. Provano a proporre un nuovo brand in competizione con la casa madre, così si innesca una guerra commerciale che nel “distretto della camorra” significa scissione armata. La faida, però, determina drammatiche conseguenze di ordine morale: bisogna “bonificare” il territorio inquinato estirpando alla radice la malapianta e bruciando tutta la vegetazione circostanze, comprese le piante sane.
Chi vive a Scampia, e quotidianamente lotta contro i soprusi e la mentalità camorristica, è preoccupato per gli effetti mediatici negativi che la fiction potrebbe avere. Bisognerà attendere per sapere se sarà così. Intanto, in attesa della serie, vi suggerisco di allentare la tensione per prevenire la formazione di una dolorosa, quanto inutile, gomorroide.