“Nel sesso orale non c’è costrizione”, così la giudice assolve il carabiniere dall’accusa di stupro
"Solo in un caso ricorda che il Dati, per convincerla a una prestazione orale, le avrebbe avvicinato con forza la testa alle proprie parti intime, ma, ribadito che anzitutto non è in alcun modo specificato in quali concreti termini sia stata compiuta questa violenza, è ben chiaro che il gesto in sé non può comportare una coazione della continuazione del rapporto, che necessita, per le stesse modalità del tipo di rapporto sessuale, di una piena partecipazione attiva della donna", il Dati è l'ex comandante dell'ispettorato del lavoro di Livorno, Federico Dati, finito a processo con l'accusa di concussione, tentata concussione, falso e violenza sessuale nei confronti di una donna, titolare di un centro massaggi di Castiglioncello. Accuse dalle quali è stato assolto lo scorso aprile con una sentenza, le cui motivazioni sono state diffuse negli scorsi giorni, che rischia di creare un pericoloso precedente nella difesa dei diritti delle donne vittime di stupro.
Come si legge in un estratto della sentenza riportato dai colleghi de "Il Tirreno" lo scorso 11 settembre, un rapporto orale non rappresenta una violenza in quanto "necessita di una piena partecipazione attiva della donna". E non solo, secondo la giudice Tiziana Pasquali, che ha assolto l'ex ispettore nella sentenza di primo grado del processo a carico dell'uomo, da ritenere dubbiosi sarebbe anche il racconto che la vittima fa rispetto ai rapporti sessuali avuti con l'uomo: "La donna – scrive la giudice nelle motivazioni depositate in cancelleria a Livorno nei giorni scorsi – racconta che in un caso sarebbero avvenuti dopo che le sarebbero stati tolti i vestiti con violenza, e anche rispetto a questo racconto – è la deduzione – da un lato neppure descrive in quali termini si sarebbe espressa la modalità violenta di togliere i vestiti. Dall’altro è anche qui da evidenziare che togliere i vestiti non comporta necessariamente passare al rapporto sessuale". Due motivazioni che spingono a ritenere l’attendibilità della parte offesa "di per sé debole", due motivazioni che rischiano di minare in maniera pericolosa le garanzie che dovrebbe avere una donna vittima di violenza sessuale che riguarda non solo l'atto sessuale in sé ma anche una violenza psicologica, una costrizione.
Per questo da giorni associazioni in difesa dei diritti delle donne hanno puntato il dito contro una sentenza ritenuta scioccante così come ha fatto l'avvocato che difende la vittima: "Questi due passaggi della motivazione – ha spiegato l'avvocata Roberta Rossi – sono effettivamente pericolosissimi perché si rischia di riportare la giurisprudenza sulle violenze sessuali alla preistoria. Al ratto, dove per dimostrare la violenza è necessario il rapimento e un rapporto completo con la forza, tralasciando completamente l’aspetto psicologico. Il rischio è quello, attraverso un certo linguaggio, di una vittimizzazione secondaria ai danni della parte offesa, non dando rilievo alla denuncia, e soprattutto stigmatizzandone il comportamento. In questo caso – conclude – non voglio pensare che ci sia un pregiudizio perché la mia cliente gestiva un centro messaggi. Perché, come sancisce la giurisprudenza, la libertà di scelta da parte della donna resta sempre, che sia implicita o esplicita. E non ci sono vittime più meritevoli di altre".
I fatti risalgono al periodo che va dal 2014 al 2016 quando Federico Dati, sfruttando il proprio ruolo avrebbe ricattato sessualmente, così come descritto dalla procura di Livorno, alcune titolari di attività commerciali. Nello specifico, in cambio di prestazioni sessuali avrebbe promesso loro di non contestare le irregolarità emerse durante i controlli. Tra le vittime che ha poi denunciato il tutto alle forze dell'ordine anche la titolare del centro massaggi di Castiglioncello. I due, come riportato da "Il Tirreno", in più occasioni, avrebbero avuto rapporti sessuali, sia orali che completi. La donna, sentita in sede di incidente probatorio il 17 marzo 2017, aveva raccontato al giudice – con tutte le difficoltà per il fatto di essere straniera – di essersi sentita costretta ad accondiscendere alle richieste perché davanti aveva "un pezzo grosso".