Dopo la puntata della trasmissione Porta a Porta in cui sono stati ospitati i familiari del defunto Casamonica, la figlia Vera e il nipote Vittorino, si è sollevato un coro di indignazione trasversale: dai social, ai politici, ai vertici delle Rai, ognuno ha accusato qualcun altro di dovere delle scuse, delle spiegazioni, delle censure, perché non si ospitano i Casamonica appartenenti a una famiglia di mafiosi “nel salotto buono della Rai”. Senza però che nessuno – rigorosamente – sappia o dica i reati di cui sono accusati.
Vanno definiti tre punti essenziali: il primo è che si deve innanzitutto definire cosa sia la “mafia romana” con le sue famiglie, addentellati e eventuali cosche. Solo a quel punto si può procedere come in Sicilia: quando muore un boss è la prefettura che comunica a che ora e in che luogo si possono effettuare le esequie del capoclan. Se ancora si veleggia nel negazionismo come si sta facendo da quando è scoppiata “Mafia capitale” (che è appunto una molto contestata definizione del procuratore Pignatone) è inutile accanirsi con delle persone i cui familiari e le cui gesta sono notissime alla procura di Roma, presentissime nelle intercettazioni della DDA nei loro loquaci dialoghi con camorristi e affiliati, ma praticamente sconosciute all'opinione pubblica. Fino al giorno dei funerali dello zio Vittorio, che anche quelli sarebbero passati sotto silenzio se non ci fosse stato l'elicottero su Roma con petali di rosa, nessuno sapeva della loro esistenza. Fino a che dunque le istituzioni, per prime, non si danno dei parametri, anche comportamentali (e di nuovo, per farlo c'è bisogno prima di riconoscere, conoscere e nominare) ogni commento è fuori luogo, ridicolo stonato e strumentale. Soprattutto, come si è sempre detto per Berlusconi: dov'è il reato dei familiari di Vittorio Casamonica peraltro morto da persona libera e neanche indagata? O siamo solo di fronte a una forma di razzismo (si tratta pur sempre di zingari) o al solito si reagisce unicamente quando c'è qualcosa di “evidente”. O entrambe le cose. Se non si fosse visto il funerale in tv, nessuno ne avrebbe parlato. E quindi cosa definisce una persona degna di andare in tv (da Vespa poi…)? L'intervento di Alfonso Sabella di ieri sera, è ancora una volta una goccia nel mare. E ancora una volta: chi sono i criminali che possono andare in tv e quelli che no? Solo i criminali burini non possono?
Secondo punto: in quello che ci si ostina a chiamare “il salotto buono” sono entrati da Anna Maria Franzoni (il pubblico ministero durante la requisitoria deprecò aspramente la sua presenza nella tv del servizio pubblico) a vari protagonisti di crimini più efferati, chiamati puntualmente (e mica solo da Vespa) a vaneggiare le loro scuse incalzati da un giornalismo inesistente e da criminologi da fumetto, il tutto complicando la vita agli inquirenti. Uno per tutti Marcello Dell'Utri, lui sì, in carcere per mafia, fondatore di un partito che voterà le riforme della Costituzione. O ancora il plurindagato e condannato Silvio Berlusconi, o Totò Cuffaro anche in carcere per mafia, o Massimo Ciancimino e così via. Loro a differenza di Vittorio Casamonica e dei familiari, erano indagati, condannati o prescritti così come è il caso di almeno un centinaio dei deputati tra palazzo Madama e Montecitorio che sono stati con gran disinvoltura ospitati in quello che veramente è tutto meno che un “salotto buono”.
Terzo punto. C'era una volta la tv tradizionale. Dopo averne detto tutto il male del mondo per anni, inutilmente, ce l'eravamo quasi dimenticata. Siamo passati al web, al satellite, alla tv on demand e a tutto un universo di fruizione audiovideo completamente diverso senza che la tv di stato tradizionale sempre più moribonda e meno consapevole si sia mai pensata o rinnovata. Anzi oggi, dopo un lungo coma è definitivamente cadavere. E Vespa è lì a rappresentarla assieme a una politica che proprio perché va da Vespa disgusta tutti. Di tutto quel sistema condizionato dagli ascolti, basato sulla pubblicità oltre che sul canone (va sempre ricordato questo dettaglio) si è d'accordo almeno su un dato: la sua capacità a integrare e a macinare di tutto, creare dei fenomeni per poi farli dimenticare, inglobare soprattutto ciò che ci ripugna dietro la grandissima menzogna “in democrazia si deve dare voce a tutti”. Un modello esportato poi anche sul web in forma esagerata e fuori controllo. Se avessimo una nostra vera Bbc o un nostro vero giornalismo avremmo la rappresentazione dell'idiozia ma anche la sua critica, la sua alternativa, o i suoi anticorpi. Noi abbiamo Vespa, qualche altra pallida imitazione, non abbiamo anticorpi e solo rarissime alternative.
Nel salotto di Porta a Porta con l'invito di figlia e nipote dell'ormai noto Vittorio Casamonica si è quindi solo consumata l'ovvietà. Non si è fatto, ma come sempre del resto, alcun approfondimento. Arrivati accompagnati – giustamente – da un avvocato perché sono talmente ma dignitosamente analfabeti da poter incorrere in qualsiasi trabocchetto, hanno giganteggiato. La figlia ha negato ogni accusa, ha esaltato il padre, negato evidenze evidenti come fa ogni politico proprio in quel salotto, da sempre. Il nipote Vittorino belloccio e simpatico ha solo rivendicato il suo ruolo di musicista.
Vespa non ha impostato il discorso con carte alla mano o ricostruendo fatti avvenuti in passato. Con un fare accondiscendente (mica era così con Berlusconi o Dell'Utri) venato di razzismo, il conduttore mai rottamato si inerpicava in domande una più ridicola dell'altra. “Chi glieli ha dati tutti quei soldi a suo padre a 17 anni per comprare una Ferrari?” (E' morto a 65 anche se l'avesse rubata e ucciso il proprietario che cosa mostra se non è manco mai stato condannato?). Risponde Vera Casamonica: “Erano soldi che avevano di famiglia”. E Vespa: “beh, però al funerale c'era la musica del Padrino che mica era una persona per bene”. E la figlia: “ma quello era un film! E a mio padre piaceva quella musica”. E lui: “Ha preso l'elicottero su Roma: lo sa che è vietato?”. E lei, coerente:“ma io l'ho pagato l'elicottero, era il pilota che doveva dirmi caso mai: non posso farlo”. E Vespa annaspando: “Ma suo padre era un boss!”. Lei: “ma un boss di che? Era capo della nostra famiglia!”. E ancora: “in foto l'avete vestito di bianco come il papa”. E lei, davvero geniale: “ma no, lui si vestiva così: sotto aveva un pantalone blu”.
E quindi, per ultimo, ai giornalisti che oggi si indignano per quell'invito andrebbe fatta la domanda. Se ci fosse Carminati fuori dalla galera, lo intervistate o lo fate solo con le persone perbene?